Sorteggi
san Mattia, apostolo
(At 1,15-17.20-26 / Sal 112 / Gv 15,9-17)
Per restare fedeli al loro Signore, si premurarono perfino di ricompattare il gruppo dei primi discepoli riportandolo al numero iniziale di Dodici. Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione (Atti 15,21-22). Parlò così Pietro in mezzo ad una piccola assemblea di circa centoventi persone. Poi dopo aver pregato, sorteggiarono tra quei due uomini proposti, e la sorte cadde su Mattia. L’altro candidato si chiamava Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto. Si direbbe perfino che la sorte sia favorevole ad uno stile evangelico: essa cade su persone sconosciute e meno accreditate o note ai più. Mattia è candidato a quell’elezione ma senza alcun riferimento a soprannomi che ne descrivano le qualità.
È evidente l’imbarazzo di una piccola comunità di discepoli il cui Maestro non è più con loro. Avrebbero potuto demandare a Lui la scelta del sostituto, ma era da tempo già asceso al cielo. Li lasciò fare. Si cercano nuove pratiche pastorali… Prima pregarono invocando l’aiuto del Signore, poi si rifecero all’antica pratica del sorteggio. Strana pratica quella del tirare a sorte: forse l’unico modo conosciuto per non affidarsi al proprio gusto o a umane influenze.
La pratica di tirare a sorte si effettuava molto spesso in relazione alla divisione della terra: Dio permise agli israeliti di tirare a sorte per specificare la Sua volontà in una determinata situazione. Vari titoli e funzioni nel Tempio venivano allo stesso modo decisi dalla sorte. Allo stesso modo, i marinai che si trovavano sulla nave con Giona tirarono a sorte per stabilire chi avesse scatenato la tempesta. Tirare a sorte divenne infine il gioco dei soldati per aggiudicarsi la tunica – tutta d’un pezzo – di quel re ormai crocefisso.
Intenerisce questo desiderio di riportare il gruppo degli Undici al numero iniziale. Quel numero rimandava probabilmente alle Dodici tribù di Israele. Dodici furono pure le ceste avanzate dalla moltiplicazione dei pani. I numeri, nella Scrittura, si fanno spesso simboli e rimando. Rimpiazzarono il dodicesimo per indicare questa precisa volontà degli Apostoli di sapere che la resurrezione andava testimoniata senza esclusione di destinatari oppure per cancellare il ricordo di una ferita, come a rimuovere la constatazione amarissima che il tradimento nacque proprio in seno al gruppo dei discepoli?
Tentarono di rileggere alla luce della Parola stessa di Dio quanto avvenne tra loro. Si legge sempre nel libro degli Atti degli Apostoli: Fratelli – è sempre Pietro a parlare – era necessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero (Atti 1,16).
Intenerisce questa elezione di Mattia. Una sostituzione può cancellare il ricordo di quanto accaduto, come a coprire le tracce di qualcosa che lasciò l’amaro in bocca a quegli stessi discepoli? Forse pensavano di poter risultare più credibili se il gruppo fosse apparso nella sua compattezza numerica senza portare in sé le ferite di quanto era già accaduto? Forse, iniziarono propio in quel giorno a comprendere che non si può testimoniare resurrezione cancellando le tracce della passione e della morte. Così come il risorto appare portando nel suo corpo il segno dei chiodi, così il gruppo dei discepoli rimase segnato e la sostituzione di Giuda con Mattia non è qualcosa che passò inosservato se oggi siamo qui proprio a raccontarla.
L’Altissimo lasciò fare. Ad una sola condizione, la medesima: che si amassero gli uni gli altri. L’amicizia con il Signore, il servizio al Vangelo non sono frutto dei più ispirati sorteggi, ma una precisa volontà di rimanere uniti a Lui obbedendo al suo comando: amatevi.
Lo Spirito canti in noi
e gema nel darci la luce;
sospiri nel crescerci a figli
di un Padre che ama e perdona.
Amore sia il tuo nome per noi.
Dal Vangelo secondo Giovanni (15,9-17)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Solo te io cerco, Signore,
e la radicalità che viene dal Vangelo.
Voglio conoscere e amare tuo Figlio
farmi discepolo e servitore della Parola.
È gusto il fine a cui tendo,
la vera realizzazione della mia vita;
è questa la mia casa, i miei beni,
il frutto e il seme che voglio lasciare.
Ti ringrazio per il dono dello Spirito
che mi guida paziente ogni giorno
a penetrare la sapienza della Parola
e a condividere la vita dei più poveri.
Anche le paure che tendono a crescere
nello sfiorire delle forze e dei sogni
rimpiccioliscono e restano ombre
rannicchiate in un angolo del cuore.
(dal salmo 15, trascrizione di Sergio Carrarini)
A leggere, e rileggere questo brano degli Atti, mi vien da pensare che davvero lo Spirito Santo sia sempre estremamente accurato nel suo operato. Come esperto coltivatore sceglie accuratamente il terreno più giusto, non il più pubblicizzato. Scegliendo ciò che è promosso, pubblicizzato, si parte per forza con delle aspettative che, se deluse, portano indubbiamente all’infelicità, mentre “affidandosi al caso” si apre lo spazio alla casualità, sí, ma anche allo stupore autentico, alla gioia inaspettata! Se dovesse andar male, non avendo grandi aspettative, non fa poi così male… Ma se va bene è davvero festa grande! Al contempo si allena meglio la fiducia, quella più piena ed autentica, nell’amore di Dio e nel suo operato.