Lo spazio e il tempo dell’incontro
III domenica di Quaresima (B)
(Es 20,1-17 / Sal 18 / 1Cor 1,22-25 / Gv 2,13-25)
Praticamente all’inizio del suo Vangelo, Giovanni colloca il celebre episodio della cacciata dei mercanti dal tempio. Dopo il prologo che in genere ascoltiamo nel tempo natalizio, l’evangelista fa ascoltare la testimonianza di Giovanni Battista, a cui fa seguito la chiamata che Gesù rivolge ai suoi primi discepoli. Fine del primo capitolo. Il secondo capitolo invece si apre con la festa di nozza nel villaggio di Cana. L’acqua trasformata in vino è il primo di una serie di segni che Gesù farà. Dopo una festa di nozze, Gesù si reca al Tempio di Gerusalemme per la festa delle feste. Se la festa di nozze poteva avere ancora un valore domestico e riservato agli invitati, non così per la grande festa di Pasqua.
Sappiamo bene che i quattro vangeli non procedono allo stesso modo nel raccontare la vicenda di Gesù. Questioni di scelte redazionali, di stile, di impianto narrativo. Ciascuno racconta a modo suo, secondo un preciso intento, secondo quanto di Gesù si vuol far conoscere. L’episodio che ascoltiamo in questa terza domenica di Quaresima, è tuttavia narrato in tutti e quattro i Vangeli. Al pari della sua morte e resurrezione. Attorno a questo fatto accaduto nel Tempio di Gerusalemme tutti gli evangelisti ne danno testimonianza (Mt 21,12-13; Mc 11,15-16; Lc 19,45-46). Il Vangelo di Giovanni ha l’ulteriore pregio di soffermarsi maggiormente nel raccontarcelo.
È un caso classico di incomprensione, quasi voluto ad arte da Gesù stesso: trovandosi nel Tempio di pietre a parlare di tempio, è quasi scontato ed ovvio pensare all’edificio stesso in cui ci si trova. Così i Giudei, nello spazio del Tempio, parlano dell’altra dimensione in cui l’uomo si muove: il tempo. Non esitano a rinfacciare a Gesù l’arduo compito della costruzione di quell’edificio. Come faremmo noi, ne più ne meno, se si parlasse di una chiesa o di un luogo di culto costruito con tanta fierezza quale simbolo identitario. E per il fatto che è frutto di fatiche e di generosità di un preciso popolo, quel popolo se ne sentirà più padroni di altri. E così già ci siamo dimenticati che il tempio è il punto di incontro tra cielo e terra, dove l’uomo può ascoltare il suo Dio e Dio può saperci riuniti nello stesso luogo.
Gesù entra nel Tempio di Gerusalemme con l’intento preciso di voler parlare di sé. Vuole rivelare qualcosa di sé. Forse tutto. Insisterà a lungo anche nell’incontro con la donna samaritana presentando se stesso come il nuovo tempio nel quale adorare Dio in spirito e verità. Per noi ci vorrà una buona parte del pensiero di san Paolo per arrivare a comprendere che noi siamo il tempio dello Spirito santo.
Ci sono gesti che Gesù ha compiuto che si sono impressi nella memoria di chi ha visto. E anche in coloro che, come noi, non hanno assistito alla scena. Credenti e non, sanno di questo gesto. È dunque un segno plastico, “un colpo di scena”, qualcosa che Gesù voleva imprimere visivamente nella memoria dei discepoli. Giovanni, per altro, ha nei confronti dei discepoli una grande fiducia. Ne escono migliori dall’incontro con Cristo e probabilmente è proprio questo il segno. Se nei vangeli sinottici i discepoli spesso brillano per mancanza di fede, nel vangelo di Giovanni hanno buona memoria: Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Anche dopo le nozze di Cana, si annota con piacere che i suoi discepoli credettero in lui.
L’incontro con Gesù ha creato un piccolo gruppo di discepoli capaci di ricordare le parole dette da Gesù, capaci di farne precisa memoria. Il tempio che siamo è il luogo dove ricordare le parole stesse che Gesù aveva detto per incarnarle nuovamente, farle vivere oggi come allora. L’uomo diventa così un tempio vivo, uno spazio vero di incontro. E l’intera esistenza umana, personale o comunitaria che sia, è il tempo di questo incontro.
Certo, scoperto che Gesù è il punto di incontro tra Dio e l’uomo, tra il Padre e i suoi figli, a noi che ci diciamo suoi discepoli, resta sempre l’arduo compito del discernimento, di fare chiarezza, di mettere ordine dentro di noi perché il nostro corpo, che sia una casa o un tempio, è sempre abitato da mille presenze e noi riusciamo a far convivere sotto lo stesso tetto l’amore per Dio e il disprezzo degli altri; la preghiera e la maldicenza. A secondo della nostra convenienza, di un nostro interesse. Non così la morte e la resurrezione di Gesù. Egli cercava il nostro bene, la nostra pace. E ce ne ha fatto dono!
Signore nostro Dio,
che riconduci i cuori dei tuoi fedeli
all’accoglienza di tutte le tue parole,
donaci la sapienza della croce,
perché in Cristo tuo Figlio
diventiamo tempio vivo del tuo amore.
(dalla liturgia)
Ketil Bjørnstad & David Darling, Factus est repente, Epigraphs
Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25)
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
Del Signore è la terra e quanto contiene,
l’universo e i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondata sui mari,
e sui fiumi l’ha stabilita.
Chi salirà il monte del Signore,
chi starà nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non pronunzia menzogna,
chi non giura a danno del suo prossimo.
(dal salmo 23)
Mi piace visitare siti archeologici, ci raccontano la nostra storia, chi siamo e forse ci danno qualche indizio di dove stiamo andando.
La prima volta che ho visitato la magnifica valle dei templi ad Agrigento mi hanno fatto notare che il tempio della Concordia è il meglio conservato, forse proprio perché fu trasformato in basilica cristiana. A Siracusa il tempio è ancora oggi inglobato nelle mura della cattedrale.
I templi costruiti dall’uomo, per quanto grandiosi, sono destinati a diventare rovine nel momento in cui non sono più abitati da Dio.
Così anche i nostri cuori, sono destinati alla rovina se non vi lasciamo entrare lo Spirito.
Prendo spunto dal titolo.
Ci sono incroci e incontri. Si possono incrociare tante ragazze ma ne incontro una con la quale metto su una storia.
Silvano Petrosino
È sempre stato un po’ straniante questo brano dei vangeli: ma perché se la prende tanto perché si faccia ordine nello spazio del tempio di pietra se poi si riferisce al tempio del suo corpo? Forse per accompagnarci a capire meglio il senso di “fare ordine”. Forse perché, vedendolo prima nella pratica, ci venga più facile poi agirlo nella nostra interiorità. Per accompagnare passo passo insomma, prima le cose che si possono esperire nella pratica, e poi quelle che si devono agire con la mente. Come si fa con i bambini!