… specchio dell’incredulità
(Eb 12,4-7.11-15 / Sal 102 / Mc 6,1-6)
Se fin da piccolo fosse stato un “bambino prodigio” sarebbe stata tutt’altra cosa! Se fosse stato il piccolo genio di una qualunque disciplina, lo avrebbero tenuto d’occhio e, quando se ne sarebbe andato per il mondo – vuoi mettere! – si sarebbero vantati di essere suoi compaesani. I racconti dei Vangeli apocrifi fortunatamente non sono poi così convincenti a riguardo di presunti prodigi operati fin da tenera età. Ancora troppo imprecisi quei risultati… «Dovresti esercitarti di più – gli avrebbero detto nel caso – fare più pratica, sei troppo giovane e forse un po’ troppo ambizioso, non credi?».
Il fatto è che il messaggio evangelico stesso non reggerebbe proprio se di quel bambino se ne fossero raccontati da subito straordinari poteri o insolite qualità. Ciò che accadde attorno alla sua nascita, rendeva i suoi e coloro che lo incontravano capaci di custodire nel cuore ciò che di lui si andava dicendo. Nulla di più. L’unica cosa “sensazionale” della sua nascita fu l’assurdità di non trovare posto. Perfettamente in linea con il resto del racconto e con la croce che lo attendeva fuori dalla mura della città santa. Chi ebbe occhi per riconoscerlo e braccia per accoglierlo fu – dice sempre il Vangelo – «pieno di Spirito santo». E comunque, nel Vangelo di Marco che stiamo leggendo, non c’è posto alcuno per racconti d’infanzia.
Le parabole del regno che già in parte aveva raccontato, svelano invece il mistero nascosto: quel regno di Dio che s’era fatto vicino, stava nascosto nelle pieghe del quotidiano, nelle piccole cose. E dunque tutto assume una prospettiva differente, tutto viene proporzionato in modo diverso: il regno di Dio è grande ma si parla di piccolezza, di semplicità. Ossimori evangelici! Accostamenti di parole e di immagini che esprimono concetti apparentemente contrari. Se un regno è grande come può manifestarsi nella piccolezza di un uomo, un compaesano, che si conosce bene? Se egli fosse davvero un profeta, come può la Parola di Dio risiedere nel cuore di un uomo che proveniva semplicemente dal loro stesso paese?
La presenza del regno di Dio in mezzo a noi e l’insegnamento di Gesù ad esso connesso, svelano a noi stessi qualcosa che nell’uomo è radicale e – forse – costitutivo: se le sue parole fossero venute da uno sconosciuto, un’estraneo, uno straniero, avremmo trovato una ragione ancor più valida per non ascoltarle. Tuttavia, il fatto che sia proprio uno di loro, è un dato sufficiente per ritenere la cosa troppo banale, scontata. Nell’ovvietà del quotidiano è difficile che l’uomo ricerchi la presenza del regno. Dio (e tutto quello che lo riguarda) sarebbe dunque “quello del giorno di festa”. Gli altri giorni vadano pure come devono andare, magari un po’ dimentichi del suo regno, incuranti di sapere che Egli è ancora in mezzo a noi e che sempre dovremmo cercarlo. Prima di ogni altra cosa.
Il dato altrettanto paradossale è pure che Egli avrebbe desiderato tanto insegnare e agire per manifestare la vicinanza di Dio, l’avvento del suo regno, proprio nel giorno di festa, perché i suoi comprendessero davvero cos’era quel giorno… ma neppure quello va loro bene! Il Vangelo annota che in alcuni momenti e proprio tra i suoi, non poté fare prodigi. E così – quasi fosse pure questa profezia – sembrava lo specchio davanti a quegli occhi increduli, messo lì a riflettere le loro stesse domande. E Lui pure, si meravigliava di tanta incredulità.
Il suo limite siamo noi. Il limite per l’altro siamo noi. Non un confine, non una frontiera. Piuttosto la nostra incredulità che si fa disprezzo di qualcosa che può giungere a noi per altre strade, in altri modi. Eppure, nel pensiero di Dio, l’altro, e tutto ciò che mi sta attorno, sarebbe il luogo dello stupore. Quello che poteva essere fonte di un sano stupore s’è presto trasformato in scandalo e disprezzo. E – annota il Vangelo – per questo non poté fare prodigi. Probabilmente ne avrebbe fatti altri e più che volentieri, per quella sua propensione all’incontro, per quella sua incline attitudine a provare compassione.
Soltanto alcuni, nonostante l’incredulità dei più, vennero comunque guariti quel giorno. Chi erano? Proprio coloro che trovandosi sulla linea di demarcazione più manifesta dei limiti umani, compresero che l’unica cosa da fare era affidarsi a quelle mani tese che esprimevano la cura stessa di Dio per l’uomo. Trovate voi che di questi tempi di prodigi non ne accadono, dunque? Forse c’è da mettere in discussione il nostro atteggiamento davanti alle novità, alle sorprese, alle cose inattese… e “le cose di lassù” sono proprio in quest’ordine di grandezza.
O Padre, che hai inviato il tuo Figlio
a insegnare con autorità la tua via
e a liberarci dalle potenze del male,
fa’ che sperimentiamo l’intima gioia
di affidarci unicamente a Te,
per testimoniare con la vita la nostra fede.
Amen.
Dal Vangelo secondo Marco (6,1-6)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Fa’, o Signore,
che non perda mai il senso del sorprendente.
Concedimi il dono dello stupore!
Donami occhi rispettosi del tuo creato,
occhi attenti, occhi riconoscenti.
Signore, insegnami a fermarmi:
l’anima vive di pause;
insegnami a tacere:
solo nel silenzio si può capire
ciò che è stato concepito in silenzio.
Tutto è tempio!
Tutto è altare!
Rendimi, Signore, disponibile alle sorprese:
comprenderò la liturgia pura del sole,
la liturgia mite del fiore;
sentirò che c’è un filo conduttore
in tutte le cose…
Amen
(Michel Quoist)
Un piccolo post scriptum: oggi è il 3 febbraio. San Biagio. Quello delle candele da baciare e del pezzo di panettone conservato da Natale da finire e non solo perché buttare cibo è peccato, ma anche per guarire i mali della gola. Questo tempo ci impedisce pure di svolgere secondo tradizione questi riti a margine. Intendo per margine qualcosa al limite del superstizioso e lo dico comunque con un certo rispetto. Quando si soffre, le si prova tutte, no? Uno studio attendo dei fenomeni religiosi potrebbe istruirci su questi sconfinamenti tra fede e pratiche superstiziose. Approfitterei dunque di questa sospensione dei riti di san Biagio per una seria domanda: quali sono i «mali della gola» da cui maggiormente abbiamo bisogno di essere liberati? Una laringite, una tracheite, una tonsillite… o non piuttosto quest’afonia della fede che si fa preghiera e testimonianza? O anche la maldicenza dell’altro sempre in agguato? E anche nel dire questo, non ho detto proprio nulla di nuovo. Semplicemente un post, un memento, un piccolo appunto per non dimenticare…
Che le nostre parole ed opere Signore sappiano di buono e sempre più di Te, affinché qualcosa di Te da noi traspaia e qualcuno possa riconoscerci cristiani, perché di Cristo siamo e tentiamo di seguire le orme, con i nostri passi incerti.
Allora potremo accogliere rifiuto e/o maldicenza perché ci sentiremo comunque di Qualcuno, amati di un Amore fedele che dura in eterno e sentiremo di aver ricevuto in dono non solo l’insegnamento, le correzioni ed il perdono ma anche un po’ di quel compiacimento che il Padre, nostro Padre, aveva posto in Gesù, nostro fratello. Benedici Signore le nostre gole affinché siano strumenti con cui far vibrare le corde giuste della vita nostra ed altrui.
Curiosità,che vuol dire “candele da baciare’?
Ciao Claudia.
L’espressione indica un gesto di pietà che si compie, da tradizione, in questo giorno dedicato alla memoria di San Biagio. Presumibilmente non ovunque, nemmeno in tutta la Penisola o in tutto il mondo. Il prete, tenendo in mano due candele legate tra loro da un nastro solitamente di colore rosso, le appoggia sulle spalle dei fedeli, come un segno esteriore di chi interiormente chiede l’intercessione del santo per la protezione dei mali della gola e del corpo. Nel linguaggio della pietà popolare, si dice quindi che il 3 febbraio ci si reca in chiesa a “baciare le candele”. Ogni terra, ogni paese ha le sue usanze, le sue tradizioni popolari. A molti santi abbiamo attribuito qualità taumaturgiche forti del fatto che il Vangelo stesso racconta proprio di guarigioni da mali fisici ma soprattutto spirituali.
Si vuole poi che san Biagio sia protettore dei mali della gola perché – si racconta – da lui andò una mamma portando in braccio il proprio figlio a rischio di soffocamento a causa di una lisca di pesce che avrebbe ingoiato. Biagio diede al piccolo un po’ di mollica da mangiare. Nel deglutire la mollica, questa trascinò con sé la lisca di pesce facendo riprendere fiato al piccolo…e alla madre. L’usanza di mangiare panettone avanzato da Natale, per la sua consistenza simile alla mollica, poteva essere l’occasione di una piccola catechesi in casa… mentre i piccoli mangiavano il dolce natalizio i grandi potevano raccontarne la storia. Ora la storia, senza panettone, l’abbiamo raccontata qui.
La gola, solo un buio anfratto? Posso avere un nodo alla gola o cantare a squarciagola. La gola è un mezzo dentro le nostre vite. A noi scegliere come usarlo.
Vieni Santo Spirito
scendi su di noi
vieni Santo Spirito,
riempici di Te!
Carezza di Dio,
irradia luce
Dolcezza infinita
Plasmaci Tu!
Solleva i nostri cuori,
libera i nostri voli
verso cieli aperti
per incontrare Te.
Che sei l’amore immenso,
il paradiso adesso,
la gioia senza fine,
che sfiora le colline
per incontrare Te.