Spingere fuori…un gesto vitale!
IV domenica del Tempo di Pasqua (A)
(At 2,14.36-41 / Sal 22 / 1Pt 2,20-25 / Gv 10,1-10)
Domenica pomeriggio. Dieci giovani adulti hanno ricevuto stamattina il sacramento della Cresima, confermando quella stessa fede che i loro genitori avevano donato loro nel giorno del battesimo. E ancora non lo sapevano. Sono giovani che hanno in progetto di sposarsi, magari in Italia, terra da cui provengono; giovani scelti per essere padrini o madrine.
«Ma se non hai ricevuto la Cresima – si sono sentiti dire da qualche parte – se non hai completato il cammino dell’iniziazione cristiana… non è possibile». Giovani che hanno saputo andare oltre quella parola forse un po’ dura, sentita da preti che neppure conoscevano o forse riportata da chi li aveva scelti e interpellati. Preti di altre comunità parrocchiali, di altre terre, forse la terra delle loro origini.
A distanza di alcuni mesi, compiuto il cammino di preparazione per ricevere proprio oggi il Sacramento della Confermazione, questi stessi giovani sapranno riconoscere che quell’apparente chiusura, quel temporaneo divieto suonava come un invito a cercare, a proseguire il cammino, tappa per tappa. E in qualche modo sono approdati alla Missione di lingua italiana di Losanna. Io stesso ringrazio: chi ha saputo pronunciare quella parola apparentemente dura; chi da quel divieto s’è comunque fatto interpellare, rimettendosi in gioco, affrontando tra i venti e i trent’anni questioni di vita e di fede che improvvisamente si sono rivelate più aderenti alla loro stessa esistenza. Ringrazio per questo tratto di strada fatto insieme a questi giovani adulti. Dice di nuove frontiere da poter attraversare. Dice di percorsi nuovi che non annullano quelli tradizionali o convenzionali; percorsi che raccontano di quante strade il Signore sa aprire – nei nostri deserti – per raggiungerci.
E noi – tutti – non siamo che semplici strumenti che permettono questo incontro a volte rendendolo quasi paradossalmente più inaccessibile (questione di far crescere il desiderio? Di mettere alla prova la nostra stessa volontà?) altre volte facilitandolo, permettendolo. Come una porta attraverso la quale passare al fine di uscire da schematismi e da idee presupposte, da precomprensioni o pregiudizi; una porta attraverso la quale passare per entrare in una nuova relazione, in una nuova modalità di approccio, di annuncio, di incontro con il Vangelo.
Benedetto sia anche questo giorno di Pasqua in cui Gesù Cristo, Signore risorto, s’è reso visibile nel segno di questo Sacramento. Molte cose potrei ancora raccontare di questi segni, di questi sacramenti che provocano e compiono nelle nostre comunità come nelle singole vite questa continua conversione che sempre il Vangelo ci chiede di fare.
«Che cosa dobbiamo fare?» (At 2,37) Domanda frequentissima nelle Scritture: domanda che viene rivolta a Giovanni il Battista come a Gesù e poi a Pietro e agli Apostoli. Domanda frequentissima nelle preghiere dei più grandi santi. Domanda quotidiana di persone assennate che conoscono la responsabilità di ogni propria azione. Ma ora, se volete, è tempo di rileggere ancora una volta il brano di Vangelo di questo giorno.
Dal Vangelo secondo Giovanni
(10,1-10)
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
La Pasqua la si può raccontare in molti modi. La Pasqua chiede d’essere raccontata con parole proprie. Questa faccenda pasquale di Gesù, crocefisso e risorto, ha avuto parole per descriverla: prima della morte stessa e poi dopo. Fu Gesù stesso ad annunciarla prima che questi fatti accadessero. In seguito i suoi discepoli, divenuti apostoli, trovarono parole e coraggio per dirla a loro volta… con le parole e talora con la loro stessa vita.
Questa faccenda della Pasqua di Gesù è in realtà la questione del male che ci infliggiamo, è il male di Caino che uccide Abele e non sente responsabilità alcuna d’aver ucciso il fratello. Non è solo il Male a sollevare questione nelle nostre vite. Ciò che solleva questione è il Male con cui ci facciamo male. Quando Gesù annunciava la sua passione e morte, egli stava pure dicendo che quel male sarebbe venuto da persone umane come lui, persone che si reputavano pastori di un gregge, guide di un popolo…. e non si accorgevano affatto che in realtà stavano conducendo il gregge intero alla morte. C’è da spaventarsi al pensiero di quanto a volte sembriamo procurarci morte e rovina con le nostre stesse mani. Solo per la ricchezza, diciamocelo un po’ francamente. Solo per rubare energia, esistenza e vita da chi invece avrebbe diritto di gustarle e condividerla appieno con e come tutti. Non credo sia necessario fare esempi, né facendo appello alla storia né appellandosi alle cronache presenti o quotidiane. L’uomo rischia d’essere ladro di Vita, la vita altrui.
E allora la domanda è seria quanto semplice: che cosa dobbiamo fare? Che cosa dobbiamo fare quando ci rendiamo conto che il fratello continua ad uccidere il fratello, che l’uomo uccide il suo simile? Che cosa dobbiamo fare quando la passione di Cristo è la stessa passione di tante persone ancora oggi? Che cosa dobbiamo fare davanti al male di cui l’uomo è responsabile? Scopro quanto profondamente la Pasqua di Gesù mi rimanda anche a tutto questo. Che cosa hanno fatto i discepoli davanti al loro Maestro mentre soffriva?
Ci sono sempre due movimenti che sono entrambi frutto di panico o frutto di paura: disperdersi o rinchiudersi. Percuoterò il pastore – aveva detto il profeta Zaccaria – e le pecore saranno disperse (Zc 13,7). Parole che Gesù stesso riprese quando parlava della sua passione. Parole alle quali aggiunse una promessa: Ma dopo che sarò risuscitato vi precederò in Galilea (Mc 14,28). Così è scritto. Così avvenne. Si dispersero. Scapparono. Lo lasciarono solo. Anche quelli che promisero che mai lo avrebbero abbandonato.
Dopo la sua morte, movimento uguale e contrario, si rinchiusero per paura dei Giudei, nel Cenacolo. Il luogo della comunione e del testamento, il luogo del servizio e della condivisione rischiò di divenire il luogo della nostalgia sterile. Se non fosse che poi venne lo Spirito… a riscaldare, ad aprire e a spingere fuori.
A dire il vero, dei suoi discepoli uno solo rimase: Colui che aveva imparato più di tutti ad ascoltare la voce del Maestro più che ciò che tutti gli altri dicevano. Conoscere la voce del Maestro, di Colui che può guidarci a vivere la nostra Pasqua, il nostro passaggio da morte a vita, da chiusura a rinnovata fiducia.
Aveva parlato in diversi modi della sua Pasqua. Volle usare anche immagini più vicine alla vita quotidiana, dopo aver osservato e meditato giorno dopo giorno ciò che accade tra greggi e pastore. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro (Gv 10,6). Ladri e briganti tutti coloro che non ci portano verso la Vita. Ladri e briganti coloro che distruggono e uccidono. Io sono venuto – disse chiaramente ma bisogna leggerlo e rileggerlo, ascoltarlo e ripeterlo, scriverlo cento volte come fosse un castigo per stamparcelo nel cuore – Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. E dunque non incolpiamolo più di essere il signore che decide quando toglierci la vita, smettiamo di crederlo così perché Lui è venuto perché di questa Vita possiamo averne in abbondanza.
Chiama per nome… ed è poesia. Le conduce fuori… dice il testo. Ma poi improvvisamente si dice che deve spingerle fuori. Siamo restii a questo movimento che ci conduce fuori. Siamo timorosi ed impauriti. Il pastore spinge fuori, come un movimento materno di chi sa che solo così si potrà donare la vita. Il pastore spinge fuori perché non vuole che moriamo asfissiati nei nostri spazi che continuiamo a credere sicuri e rassicuranti quando invece rischiano di diventare viziati.
Aprire finestre è gesto primaverile. È solo il segno che dall’inverno passiamo a stagioni migliori e più miti. Attraversare una porta è gesto pasquale. Passare frontiere è cercare vita, sfuggendo da oppressione e morte. Siamo fatti per attraversare soglie, per uscire da recinti e steccati, per rompere il guscio, per sbocciare e fiorire, per uscire dal letargo. Tutto attorno a noi parla di questo. Se solo l’uomo amasse la Vita più della morte… anche noi saremmo annunciatori di Vangelo, testimoni di resurrezione. Auguri!
Giungo a scrivere a giorni di distanza da queste letture, profittando di una “pausa allattamento”, per portare una testimonianza che ho trovato particolarmente calzante con il messaggio di questo Vangelo. Credo sia capitato a ciascuno di noi che, nel corso della vita, qualche amicizia si sia rotta, per screzi o negligenza, e non più ricucita. Ecco: domenica scorsa, in occasione del compleanno di un caro amico, sapevo che avrei incontrato una coppia con cui avevo tagliato i rapporti sin dall’adolescenza. Ai tempi per me la delusione fu tale da lasciarmi come un reumatismo estremamente suscettibile di riattivazione al solo vederli, si può quindi ben immaginare quale fosse il mio stato d’animo in previsione dell’incontro: un timore serpeggiante.
Capita poi che, dati i tempi scanditi dalla mia piccina, mi ritrovi a seguire la messa serale della domenica proprio prima di recarmi all’appuntamento. Capita che, nel corso della messa, il parroco torni più volte a scandire la necessità di spingersi a rinnovarsi, a portare acqua laddove prima era deserto, germogli dove prima eran foglie secche. Ed ecco che mi sento chiamata in causa. Ecco che, mi dico, “Dopotutto si può anche provare ad andare oltre al timore”. E l’ho fatto, e ce l’ho fatta, a rispondere cortesemente ad un saluto cortese, ad interagire con serenità… E financo passare intenzionalmente a salutare prima di congedarci. Ancora un po’ timorosa -piú delle mie reazioni che d’altro- ma già un po’ più coraggiosa. Ed ecco che financo sui rami seccati dall’incuria di anni hanno iniziato ad affacciarsi delle gemme.
Ogni mattina, aprendo le finestre di casa, lo sguardo va verso l’Alto.
La notte è passata, il giorno è vicino e la Vita riprende.
Nel cuore, un semplice grazie!
Donaci davvero, Signore, che amiamo la vita più della morte e purifica in noi il desiderio di Vita piena.
“Siamo fatti per attraversare soglie, per uscire da recinti e steccati, per rompere il guscio, per sbocciare e fiorire, per uscire dal letargo”…siamo fatti per la vita e non per la morte…”siamo fatti per amare” (come dice anche una canzone di Nek “Fatti avanti amore”), solo se ci scopriamo follemente amati da Colui che tutti e tutto ama di noi, altrimenti farebbe sorgere il sole solo per i buoni e piovere solo per i giusti ed invece “Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.
Ecco a quale Amore siamo chiamati, non ad un amore a buon mercato ma ad un grande Amore, che sempre si dona, perché siamo stati donati al mondo e solo scoprire che tutto è dono e ci permetterà di donare agli altri e di donarci.
Il Pastore Bello, Buono, ci precede e ci accompagna in pascoli erbosi, ad acque tranquille, ci conosce e ci chiama per nome…. non temiamo il male.. .Lui è con noi. Grazie don Stefano per le belle esperienze che ci comunichi.