Spreco e sperequazione
Venerdì dopo le Ceneri
(Is 58,1-9 / Sal 50 / Mt 9,14-15)
Immaginiamo questa scena: una mamma (il papà – in genere – è già uscito per guadagnare il pane) questa mattina sveglia i suoi bambini dicendo loro: «Oggi facciamo un gioco!». Non male come risveglio! I bambini, in un lampo, saltano fuori dal letto, curiosi di sapere di che gioco si tratta. «Oggi – regola del gioco – si mangia solo se alla nostra tavola ci sarà seduto un povero. Altrimenti si salta il pranzo». E subito il soufflé di entusiasmo si sgonfia! Fine del gioco.
Infatti non è un gioco da ragazzi. Abbiamo forse perso il gusto di giocare gratuitamente, senza guadagnarci nulla. Solo la semplice e pura gioia di stare con gli amici. Anche i bambini se ne stanno accorgendo. Abituati a giochi meno gratuiti, affamati di vincite, ora c’è pure la nuova lotteria in mancanza di altri giochi. E lo sentiamo pure come un diritto, un bel servizio che ci fanno in questo tempo di crisi. Giocassimo pure con gli scontrini… ma proviamo a dare una regola nuova: si fa una bella cassa comune per i poveri i quali, di certo, non stanno mica giocando alla lotteria? E mi perdonino davvero quelli che stanno giocando. Perdonatemi le riflessioni troppo affrettate e poco argomentate. Molto di pancia… già che di digiuno parliamo. Oppure, liberi di mandarmi al diavolo. E l’evasione da sconfiggere – se questo è il motivo della lotteria – credo sia qualcosa di più serio di un gioco pseudo-democratico e popolare.
Abbiamo perso la pura e semplice gioia di sorridere con gli amici e compagni di gioco. Il vero divertimento che ci procura(va) gioia sembrava quell’andarcene per acquisti compulsivi e rassicuranti, ad alimentare i nostri desideri (e probabilmente senza che ce ne accorgessimo anche i figli) tra la voglia ‘di questo’ e ‘di quello’. E neppure più questo o quello. In uno spazio di attesa tra desideri e realtà sempre più corto, a volte praticamente inesistente. E quei “capricci” – piccoli e grandi – abbiamo imparato proprio così a farli.
La questione si fa ancora più seria e non può essere un gioco da ragazzi perché di poveri ce ne sono sempre di più.
È forse come questo il digiuno che bramo,
il giorno in cui l’uomo si mortifica?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? (Is 58)
Un giorno Gesù si trovava in casa di un lebbroso di nome Simone. Qualcuno si permise di denunciare lo spreco di olio profumato di pregio. E lui se ne uscì con quella frase che ancora inquieta e poco ci consola: «I poveri li avete sempre con voi, me invece non mi avete sempre» (Mc 14,7). Alludeva alla sua morte imminente e ai giorni in cui anche i suoi discepoli non avrebbero avuto voglia di mangiare. E i peccatori perdonati che alla sua tavola trovarono sempre accoglienza, quel giorno ne avrebbero sentito la vera mancanza! «Se neppure Gesù fosse più con noi, chi ci darà la nostra gioia?». Forse tutti quei poveri e quei peccatori che ebbero la gioia di stare a tavola con Lui e comprendere sul fatto cosa fosse misericordia, sono gli unici che potrebbero piangerne veramente l’assenza di Gesù perché senza di Lui non avrebbero scampo, né misericordia, né pane.
Certo, c’è pure tra noi chi si serve di quelle parola di Gesù – travisandole ovviamente – per sostenere spese per culti ancora sfarzosi… prima che per i poveri. Non si tratta di rendere sciatto il culto ma nemmeno di mangiare comodamente con i poveri ancora alla porta. Gesù mangiava con i peccatori che già aveva perdonato e quello era il segno più evidente dell’incontro avvenuto, del perdono donato, della gioia moltiplicata. Nietzsche, il grande filosofo, probabilmente ci confiderebbe ancora la sua fatica a credere nella resurrezione di Cristo. Non per questioni teoriche ma semplicemente guardando i nostri volti ancora troppo tristi. Se fossimo più liberi da ogni appetito, da ogni istinto, meno legati a quei desideri da terrestri, e semplicemente più gioiosi quello sarebbe il segno che Cristo risorto è presente e vivo accanto a noi. Una bella provocazione, in effetti!
E si comprende come mai, nel discorso della montagna Gesù parla del digiuno come di qualcosa che va vissuto con gioia. Senza assumere aria disfatta per far vedere che si digiuna. Un volto gioioso anche nel digiunare. Perché? Perché il nostro vero digiuno, dovrebbe consistere piuttosto nel condividere con chi è ancora privato – e forse per la nostra ingenua e tacita complicità – di giorni lieti e di profonda gioia.
Digiunare o non digiunare? Questo è il problema del venerdì di quaresima. E non ci sono risposte semplici. C’è la realtà… di poveri che ancora attendono e che ci ricordano dove mettere l’urgenza. Chi digiuna lo faccia con gioia perché sta cercando di far crescere il suo desiderio di comunione con chi non ha. Chi mangia lo faccia con gioia perché ha già compreso che quel mangiare è semplicemente buono e giusto se fa crescere la comunione umana e cosmica (con tutte le creature). Un senso di profonda gratitudine dovrebbe nascerci anche davanti ad un piatto di insalata che, essa pure, ha dato la sua vita per noi…
E Tu, povero Cristo, guardaci ancora negli occhi! Metti in noi la fame di giustizia.
Signore,
concedici una penitenza lieta
e una Quaresima serena;
perché il ricordo del peccato
non è per disperarci
ma per sperare nella tua misericordia.
E il dolore dei peccati commessi
si mescola alla gioia per il perdono ricevuto.
(Adriana Zarri)
Per meditare e raccogliersi… «APNEA» di Paolo Fresu, Richard Galliano, han Lundgren (dall’album MARE NOSTRUM II)
Dal Vangelo secondo Matteo (9,14-15)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».
Gesù dolce memoria
che dà vera gioia al cuore:
ma più del miele e di ogni cosa,
dolce è la sua presenza.
Niente si canta di più soave,
nulla si ode di più lieto,
nulla si pena di più dolce
che Gesù, figlio di Dio.
Gesù speranza per chi si converte,
quale misericordia per chi ti invoca,
quale bontà per chi ti cerca!
Che sarai per chi ti trova?
Non vi è lingua capace di narrarlo,
né parola in grado di esprimerlo:
chi ne fa esperienza può credere
cosa sia amare Gesù.
Gesù sii la nostra gioia,
tu che sei il guadagno che ci attende:
sia in te la nostra gloria,
sempre, per tutti i secoli.
(San Bernardo di Chiaravalle)
Ieri non mi è riuscito di scrivere la mia riflessione perché troppo in corsa. Mi preparavo a recuperare facendo un passo indietro oggi, ma ora vedo che ciò che avevo in mente si presta bene anche qui. L’apertura della Quaresima e le riflessioni sul digiuno mi hanno riportata alla mente l’ansia che la contrassegnava: “A cosa rinuncio? Cosa mi impegno a non mangiare? Dolci? I cocktail nel weekend?…Ma andrà bene?”…E via così. Senza saper davvero discernere a cosa fosse meglio rinunciare. Quest’anno, anche grazie a queste letture, mi è venuto piuttosto da pensare: Ma se il buon digiuno fosse “impegnarsi a fare meglio”? Non pensare “a cosa rinunciare” ma piuttosto ” a cosa dare”? Beh… Cosí la prospettiva cambia, e di parecchio!