Svelare, spiegare e dispiegare
(At 18,23-28 / Sal 46 / Gv 16,23-28)
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. (Gv 1,18). Nei giorni del Natale capita di leggere e meditare più volte il prologo di Giovanni che si conclude proprio con questo versetto. Nei giorni che seguono la Pasqua, la nostra riflessione ha attinto al discorso di addio di Gesù. Vangelo di Giovanni, capitoli 15 e 16. A più riprese abbiamo meditato questo discorso di Gesù.
Venne dunque per mostrarci il Padre. Non fu immediatamente compreso. Un discepolo – Filippo – un giorno gli chiese apertamente: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?» (Gv 14,8-9). Che i discepoli non brillassero per grande intuito possiamo dedurlo. Un conto però è trovare somiglianze tra padre e figlio se anche il padre fosse visibile. Allora sarebbe per noi più facile ritrovare tratti somatici. Il fatto è che non si parla di tratti somatici o di lineamenti. Erano le opere stesse ad attestare somiglianza col Padre. Disse a talproposito: «Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse». (Gv 14,11)
La morte in croce del Figlio fu l’opera più manifesta, più evidente. Il giorno in cui caddero tutti i veli. Tuttavia rimane difficile – quasi impossibile – per noi fissare lo sguardo sul dolore innocente. E ancor più, pensare che lì, da quelle parti ci possa essere Dio in persona. Dio non sta impassibile di fronte al dolore, ancor meno nel dolore di un figlio che muore, ma ora ci pare possibile contemplare fino a che punto può dispiegarsi l’amore. Come se ci fosse un sottile confine tra il dolore e la gioia, tra la vita e la morte, tra l’odio e l’amore.
L’amore con il quale quel Figlio scelse di amare sembrava spostare quel confine in favore dell’amore stesso. Quasi impercettibilmente più forte di quella morte. Sulla croce il Figlio di Dio non raccolse la sfida di chi lo invitava a salvare se stesso scendendo dalla croce. Non sarebbe più stata una prova d’amore. Nessuno dei discepoli, in seguito a quella morte, pensò o parlò di vendicare quella morte innocente. Forse perché presi dalla paura di fare la stessa fine. Forse perché sgomenti che l’uomo si spinga ad un punto simile. In ogni caso compresero, raccontarono e testimoniarono di quella morte. O di quell’amore. E così tutta l’esistenza del Figlio di Dio appare oggi ai nostri occhi come l’opera bella che svela tutto l’amore con il quale Dio ci ama. Siamo sempre e in qualche modo superstiti di tanta violenza umana, ammesso e concesso che non vorremmo mai esserne gli autori.
Il brano di Vangelo che oggi meditiamo, soprattutto laddove Gesù dice: «Queste cose ve le ho dette in modo velato» mi ha riportato prepotentemente alla mente – forse solo per assonanza di parole – due immagini, due opere d’arte. Il celebre «Cristo velato» di Giuseppe Sanmartino. Opera del 1753. E la recentissima opera dello scultore Jacopo Cardillo, meglio noto con il nome d’arte Jago. La sua opera vuole essere un grido di dolore contro la disumanizzazione e l’indifferenza dei tempi moderni. Ispirato al Cristo velato del Sanmartino, il giovane scultore ha rappresentato il dolore e l’angoscia che suscitano la vista di una giovane vita spezzata.
Quel velo pietoso è il limite sottilissimo che preferiamo stendere sulle opere di tanta disumanizzazione, su tanta violenza. Il fatto è che quel velo non nasconde. Anzi rivela ancor di più la contorta complessità del cuore dell’uomo. Gesù, spiegandoci il Padre voleva aiutarci a dispiegare questa vita che a volte pare davvero un lenzuolo caduto a terra, sopra una serie di orrori. Dispiegare è anche il verbo di chi apre le vele. Un nuovo alito divino ci sospinga in avanti.
Signore, esprimi la tua Parola eterna in me
e fa’ che l’ascolti.
Signore, irradia la tua Luce in me
e fa’ che la veda.
Signore, imprimi il tuo Volto in me
e fa’ che lo custodisca.
Signore, compi la tua opera in me
e fa’ che ricominci sempre da capo.
(Abbazia di Recheinau)
Dal Vangelo secondo Giovanni (16,23-28)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio.
Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».
Ci è vicino il Signore, forte e misericordioso,
l’amico degli uomini ci protegge.
Ci è vicino il Signore, forte e misericordioso,
non saremo prigionieri dell’angoscia.
Il Signore è presente nella storia
e la guida al traguardo fissato;
non ascolteremo gli uccelli del malaugurio
per diventare pessimisti con loro.
Lui continua a far maturare tra noi
uomini pieni di speranza
che ci infondono coraggio.
Ci riconosciamo nel popolo dei credenti in Lui.
Se dessero meno spazio alla cronaca nera,
ai giochi di potere dei politicanti
e prestassero un po’ d’attenzione
ai fatti ispirati dal Signore.
Certamente resterebbero impressionati
di fronte a tanti gesti di coraggio,
all’impegno silenzioso di tanta gente
per costruire giustizia e pace.
Ci è vicino il Signore, forte e misericordioso,
l’amico degli uomini ci protegge.
Ci è vicino il Signore, forte e misericordioso,
con lui costruiremo la pace.
(Salmo 45, trascrizione di Sergio Carrarini)
Giovanni Sanmartino, Cristo velato, 1753, Cappella Sansevero, Napoli
Serve davvero restare ancorati alla coscienza di essere creature amate e portatrici di amore. Bisogna ricordarselo, ripetutamente, e ricordarsi di prestare attenzione ad ogni minima manifestazione di amore intorno a noi. Ad affinare l’occhio poi si nota quante ve ne siano e, quando capita di farsi prendere dallo sconforto per le brutture, è la coscienza di queste manifestazioni comunque presenti a salvarci.
Non riuscivo a togliere lo sguardo davanti a quel viso. Li vidi tutta la sofferenza dell’umanità. E poi il mio sguardo ha cominciato a spostarsi lentamente su tutto il suo corpo, si è da soli davanti a Lui, non sentì più nulla, se non ad un certo momento una voce insistente: signora vada avanti! Si avanti, avanti, non ci si può più permettere di fermarsi, di ammirare, di riflettere. Avrei voluto abbracciare quel corpo. Davanti al Cristo velato ho pianto.
Se chiederete al Padre nel mio nome Egli vi esaudirà. Stamattina mi chiedo che cosa chiederei al Padre con la certezza di riceverlo. E che piccolezza di desiderio chiedere la vita e la salute per i miei cari, la fine dell’epidemia, la conversione per i miei nipoti o che i piccoli crescano bene. Mi è venuto in mente una sola cosa: che avvenga il tuo regno. Tu sai di tutti noi, e di ogni capello della nostra testa. Che ognuno sia capace di costruire il tuo regno. E perdonaci quando sbaglieremo. Amen.