Tempo per potare
V domenica di Pasqua (B)
(At 9,26-31 / Sal 21 / 1Gv 3,18-24 / Gv 15,1-8)
Il profeta Isaia aveva cantato l’amore per la vigna, l’amore che fa rima con passione, cura. «Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. […] Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.» (Is 5,1-2.7b). Isaia cantava così l’amore di Dio per il suo popolo: tanta passione e tanta delusione. Non resta che immaginare le sorti della vigna: sarà tolta la siepe di recinzione, abbattuto il muro di cinta e diventerà il pascolo di animali selvatici, quelle volpi piccoline che, già nel Cantico dei Cantici, andavano catturate perché non rovinassero l’amore. La vigna, sarebbe diventata di lì a poco un vero deserto o un campo invaso solo da rovi. La siccità poi avrebbe sancito l’aridità della terra. Un vigneto che non porta frutto è una spesa inutile.
Si sentivano come una vite strappata dall’Egitto. Dio stesso aveva trapiantato quel nugolo di schiavi, cresciuti a tal punto da far paura agli occhi del faraone il quale non esitò ad ordinare lo sterminio dei figli primogeniti. Dio intervenne e salvò quella vite, come Noè fu chiamato a salvare una coppia di animali secondo la loro specie. Davanti alle devastazioni, un resto si salva. Una vite viene sradicata e portata altrove. Si tenta il trapianto. E il credente pregava per ringraziare Dio, il pastore di Israele, di questo intervento: «Portasti fuori dall’Egitto una vite; scacciasti le nazioni per piantarla; tu sgombrasti il terreno ed essa mise radici e riempì la terra». (Sal 80,8-9).
Ma la storia (non certo soltanto quella del popolo di Israele) racconta spesso di nuove infedeltà, di nuove deportazioni, di nuovi abbandoni… e così la vigna è sempre esposta ai pericoli come quando arriva una gelata a primavera. E così non rimaneva che pregare, mescolando alle suppliche quel grande dubbio che rimane sul fatto che Dio, il Signore dell’universo, permettesse un simile devasto: «Perché hai rotto i suoi recinti e tutti i passanti la spogliano? Il cinghiale del bosco la devasta, le bestie della campagna ne fanno il loro pascolo. O Dio degli eserciti, ritorna; guarda dal cielo, e vedi, e visita questa vigna; proteggi quel che la tua destra ha piantato, e il germoglio che hai fatto crescere forte per te. Essa è arsa dal fuoco, è recisa; il popolo perisce alla minaccia del tuo volto. Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che hai reso forte per te, e noi non ci allontaneremo da te. Facci rivivere, e noi invocheremo il tuo nome» (Sal 80,12-18)
Questo sfogliar di pagine bibliche, tanto per rendere l’idea di quanto fosse cara e ben radicata l’immagine della vigna. E non era solo un’immagine perché da quella vigna poteva venire la felicità simboleggiata dall’uva e dal vino, frutto della terra e del lavoro dell’uomo.
Gesù ritorna sull’immagine cara al popolo di cui sentiva di essere parte, provando a rileggerla, mettendo nuovi accenti. Egli si percepisce come una vite in quel grande vigneto di cui Dio non ha certo smesso di prendersi cura. Anzi, spiega Gesù, il Padre suo è l’agricoltore stesso. Non affida più la vigna ad altri. Sarà lui stesso a decidere delle cura necessarie. Le parole di Isaia sembrano non bastare più a descrivere l’amore per la vigna. Ma sopratutto non parlavano ancora di ciò che, in realtà, Dio deciderà di compiere su quella vite. Isaia disse che il padrone non l’avrebbe né potata né vangata. L’avrebbe cioè abbandonata a se stessa.
Gesù, ora, rivela i dettagli di un lavoro particolare che l’agricoltore intende fare sulla vigna, come a spiegare che il Padre non abbandona il Figlio, nemmeno quando Gesù stesso sembrerà, Egli stesso, quella vigna calpestata e devastata. È il tempo della prova, della croce. Del Figlio… e di tutti i figli.
Inviterà soltanto a rimanere uniti a Lui. Arriverà l’inverno: il tronco rimarrà nudo, disadorno, come contorto dal gelo. Cadono le foglie. Unico segnale esterno che attesta l’assenza della linfa nei tralci. La linfa sembra essersi tutta concentrata nella vite. È quello il tempo utile e prezioso della necessaria potatura. Dopo l’inverno, dopo la prova, la vite tornerà a iniettare nei nuovi germogli la linfa di cui hanno bisogno.
Al vederlo su quella croce così radicata a terra, sembrava proprio quella vite in pieno inverno. Quelle parole: «Rimanete in me…» suonano già come linfa. Giungono a noi dopo la devastante morte di croce, come arriva la primavera dopo l’inverno, quando la linfa torna a scorrere. L’agricoltore conosce la forza di quella vite.
Si temevano le scorrerie degli animali selvatici o le devastazioni nemiche. E si comprenda così quel bisogno di proteggere la vigna. Ma non sono il muro di cinta o la siepe che circondano a garantire la fecondità della vigna, quanto la potatura stessa e quella fede-fiducia dell’agricoltore che conosce bene il segreto della vite, quando finalmente spingerà fuori da sé la linfa a nutrimento dei tralci i quali, a loro volta, presi dallo stesso movimento vitale, daranno vita ai grappoli, frutto della vite. È una spinta vitale che parte dal profondo. La sua parola è dunque la linfa, portata a noi in forza dallo Spirito che ancora ci permette di ascoltarla.
E se questo lungo inverno fosse il tempo della potatura? E se la Chiesa, vigna malata, si lasciasse un po’ potare dall’agricoltore? Se non siamo disposti a dare la vita come potremo risorgere, come potremo portare frutto?
Vieni, Spirito santo di Dio,
vieni e diffonditi sugli uomini.
Vieni come vento
che disperde le vecchie polveri
e libera il cammino.
Vieni come fuoco
che nulla può spegnere.
Vieni come soffio di Vita
che distribuisce forza
e moltiplica il coraggio.
Dal Vangelo secondo Giovanni (15,1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Tu sei la nostra gioia, Signore,
la forza e la speranza dei credenti;
per questo cantiamo festanti:
alleluja al Signore risorto.
Hai ascoltato il suo ultimo grido
dall’alto di quella croce di infamia,
hai raccolto il suo spirito morente
e l’hai trasformato in Spirito della vita.
L’hai proclamato cristo e Messia,
mediatore della Nuova Alleanza,
Sacerdote, Re e Profeta,
Redentore di tutti gli uomini.
Ti ha offerto in dono la sua vita
e una vita nuova gli hai dato,
la vita di Figlio di Dio,
Signore di tutta la storia.
Grande è la gioia dell’uomo
per questa vittoria sul male,
grande à la festa, la grazia
che rimase nel mattino di Pasqua.
Una folla di nuovi credenti
atira il sepolcro svuotato;
tutta gente che torna a fidarsi
di Dio che sconfigge la morte.
Lodate il Signore, o fedeli,
che celebrate questo giorno di festa;
guarda al suo volto splendente
e sarete traboccanti di vita.
Giusto quest’anno, oltre ai consueti lavori del giardino, ho deciso di potare la vecchia vite che fu piantata dal nonno di Jacopo, il mio moroso. Ero molto timorosa ed impaurita, anche sapendo quanto Jacopo ci tenga a queste eredità dei nonni, ed ho scelto di chiedere aiuto ad uno zio che le coltivava. Mi sono fatta spiegare tutto per filo e per segno e, a fine febbraio, ho proceduto. Sono stata settimane irrequieta a cercare con attenzione ogni possibile segno di gemmazione e che gioia quando, profittando di un sopralluogo alle rose lí vicine, ho scoperto le prime foglioline farsi strada! Ora la mia curiosità è già indirizzata a immaginare i tralci, ma ci vorrà tempo, ci vorrà pazienza e, magari, quest’anno non verrà nulla perché la pianta -che non era potata da decenni- deve rinforzarsi un po’. Ma il giardinaggio e la vita mi hanno insegnato che, ogni tanto, non è male placare la propria fretta ed avere il coraggio di aspettare. Le piante e le cose maturano sempre e solo quando è il loro momento, non prima. Bisogna avere pazienza e fiducia, ma che meraviglia si gode poi!
Si potrebbe dire che col battesimo Gesù si innesta negli uomini e che durante il cammino, perché le vite si rinnovino, occorre potare. (Che è un taglio ma non un rinunciare.
Si può aver timore di sbagliare, ma dopo aver appreso il metodo, ci vuole il coraggio di provare.