Terre e giardini confinano con Dio
(1Sam 16,1-13 / Sal 88 / Mc 2,23-28)
È quasi ora di uscire incontro al giorno. Aprire porta e finestre al sorgere della luce è sempre un gesto di speranza. In campagna, il buio denso della notte preme contro la porta. Le imposte alle finestre, a dire il vero, non le chiudo mai: un filo di luce argentata di luna è sempre bello lasciarlo riverberare. Quando si apre la porta di casa e dietro di essa c’è il giorno in tutto il suo splendore, sembra perfino che sia la Luce stessa ad aprirti la porta.
Esco a camminare all’alba ed è come una preghiera, una meditazione. Poi ho tempo di rincasare e di pregare con le parole dei Salmi secondo la suddivisione quotidiana scandita dalla Chiesa. Ma è sempre camminando che si riattiva lo stupore. E camminando penso a chi invece deve uscire di corsa, già trafelato all’alba per accodarsi nel traffico quotidiano; penso a chi invece non potrà uscire. E comprendo benissimo che la Vita possa dunque apparire pesante o insopportabile. E così, pensando a chi prova affanno o fatica, mi viene quasi spontaneo di dedicare quei passi per il benessere di qualcuno che non può camminare così. Non so se possa sussistere questo proposito di una «camminata per intenzione», che questi miei passi possano far bene anche ad altri che non possono camminare. Eppure siamo così abituati a confidare ad altri le nostre intenzioni di preghiera, a chiedere un aiuto, un sostegno, un rinforzo. Ecco, mi piace pensare che questi passi all’alba del nuovo giorno non sono solo miei.
Siamo fatti per camminare, che lo facciamo realmente o che intendiamo la nostra vita quotidiana come un’esperienza graduale che ci fa procedere, in ricerca, ogni giorno verso la Luce. Il rischio per l’uomo è quello dell’immobilità, della fissità, della rigidità e questo vale per il corpo fisico ma anche per quanto riguarda la dimensione spirituale dell’esistenza. Siamo affamati di Luce e di senso. Non possiamo rimanere troppo digiuni di questo. Anche al buio della notte, il Signore ha posto un limite perché sa bene quanto le sue creature bramino il giorno, la Luce. È Lui il Signore dei giorni che si alternano, è Lui il Signore di ogni nuovo giorno. Ed è Signore per quel suo farcene dono.
Mi piace pensare che anche Gesù camminasse passando in mezzo ai campi. Mi pare di vederli tutti quei rabbi, rinchiudere i loro discepoli tra quattro mura per studiare le Scritture o dentro i portici di un Tempio sempre troppo stretto se questo è solo un recinto di rigide appartenenze e di mute definizioni. E Lui, invece, dava lezione all’aperto, tra i campi. C’era di che guardarlo con sospetto.
Un giorno – come ascolteremo nel Vangelo di oggi – camminava tra i campi di grano. Pare perfino di scorgere la sua mano che accarezza la punta delle spighe, nel punto massimo di tensione del seme – già morto – laddove cielo e terra si incontrano nell’ondeggiare delle spighe. E l’uomo guarda quel punto di contatto o di confine che non appare mai statico, definito: ci sono giorni in cui il Cielo sembra vicinissimo e altri in cui ci si può sentire come piombati al suolo.
Passare fra campi di grano non è ingannare il tempo ma è essere presenti al mondo in tutto il suo evolvere: quel campo di grano dorato era poco prima un tappeto verde e prima ancora una crosta marrone e prima ancora bianca di gelo o di neve. Perfino nei colori è impresso il senso della vita, del cammino, dell’evolvere.
I discepoli, quel giorno, si misero a cogliere spighe. Non si sa perché. E dove occhi giudici videro immediatamente la Legge infranta, Lui suggerì «l’ipotesi fame». Se non c’è carità, se non c’è amore, se non c’è rispetto dell’uomo, la Legge non serve per quanto rispettabile essa sia. Non è dunque detto perché strappassero spighe. Forse avevano fame, ma certo non era tempo di digiunare, non era tempo di lasciare l’uomo privo di un senso più profondo da dare alla vita e alla fede. Se ci sentissimo credenti solo per rispetto a delle regole, solo perché possiamo dire d’essere dentro o fuori quel recinto, concorderete con me che non andremmo molto lontani. Ed è così che si perde il senso di vivere. E non è un’incentivo ad essere sovversivi. Semplicemente mi accorgo, camminando, che osservare non è un verbo che si addice primariamente ai confini ma alla Vita in tutta la sua bellezza.
Non c’è montagna che li meravigli,
le loro terre e i giardini confinano con Dio!
Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani,
a me piace sentire le cose cantare.
Voi le toccate: diventano rigide e mute.
Voi mi uccidete le cose.
(Rainer Maria Rilke)
Dal Vangelo secondo Marco (2,23-28)
In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe.
I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».
E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».
O Signore Dio,
illumina il nostro cammino
con la luce di Cristo
che ci precede e ci conduce.
Illuminaci e dimora in noi.
Guidaci a scoprire
la piccola mangiatoia del nostro cuore,
ove una grande luce è ancora sopita.
Creatore della Luce,
ti ringraziamo per il dono
della Stella senza tramonto,
Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore.
Fa’ che Egli sia da noi accolto
come faro nel nostro pellegrinaggio.
Sana le nostre divisioni
e portaci più vicini alla Luce,
perché possiamo trovare in lui la nostra unità.
Amen.
(dal sussidio per la settimana di preghiera
dell’unità dei cristiani – 18-25 gennaio 2022)
Anch’io credo si possa camminare per gli altri contemplare per gli altri. L’importante è portarli nel cuore.
Credo sia comunione.
Grazie don Stefano, hai dato voce alle emozioni che provo ogni giorno davanti ai doni del Padre. A ogni passo nella natura lo stupore per la bellezza mi attanaglia il cuore, e la gratitudine per poterne godere i colori e i profumi è immensa. E cammino pensando a chi non può camminare. E riempio i miei occhi pensando a chi non può vedere. E a quanto diamo per scontati questi doni. Ed è in quei momenti che posso parlare con Lui.
Buongiorno Don! Stamane la considerazione della “camminata per intenzione” mi ha fatta tornare bambina, quando la nonna materna mi esponeva il perché dei suoi rosari delle cinque del mattino (li faceva per le anime possedute) instillando in me -me ne accorgo solo ora- il seme del bene da fare per gli altri. La nonna poi in effetti ci si applicava anche in prima persona: più di una volta -mi dicono- ha ospitato bisognosi in casa e io, ora, mi accorgo di non sentirmi proprio alla sua altezza… Io che sí mi documento su ciò che accade e cerco di incanalare al meglio le magre donazioni di cui sono capace per cercare di “dare il mio contributo”, e sempre io sono al contempo capace di andare in crisi al primo docente che cambia in piani del mio “progetto personale” spingendomi a passare ad altri il mio lavoro per uan “composizione corale”. Io che adolescente pensavo -insofferente- la nonna irrigidita nelle norme dogmatiche, mi accorgo ora di quanto, al di là di quelle, mi abbia insegnato la sua apertura agli altri, agli stranieri, cui chiedeva sempre “da dove vieni” e si faceva raccontare la storia. Prendendosi ma anche regalando del tempo da condividere, per accogliere davvero, in un piccolo gesto della quotidianità. Questo credo dovremmo allenarci tutti un po’ di più a fare: darci tempo per parlare, confrontarci e conoscere un po’ gli altri, gli stranieri, per allenarci a non chiuderci nelle nostre piccole caselline sicure… È tanto più bello -quando si prova e trova!- il respiro che queste esperienze sanno dare!