Tonalità e accordi
Venerdì – II settimana di Avvento
(Is 48,17-19 / Sal 1 / Mt 11,16-19)
Ogni mattino, al risveglio, possiamo decidere quale tono dare alla nostra giornata e a quale ritmo muovere i nostri passi. Certo, un po’ dipende da come s’è dormito. Può succedere subito di iniziare ad ascoltare i dolori e gli scricchiolii di quella cassa di risonanza che noi chiamiamo corpo. Si ascoltano “pour faire avec“, cioè per tenerne conto e muoverci di conseguenza. Tuttavia può anche darsi che, assecondando troppo quegli accenti che sono gli acciacchi, rischiamo di cambiare subito di umore. Capita, a volte, di sentire discorsi tra persone che si confrontano sul numero di dolori o di pastiglie che accompagnano la giornata. Per molti da mattino a sera. Assumiamole, certo! Non sto affatto sostenendo il contrario. Ma un incontro non può essere una patetica sinfonia di corpi malati. Andiamo forse cercando compassione contando dolori e numero di pastiglie?
La somma di queste piccole o grandi decisioni quotidiane, l’ascolto che dedichiamo alla vita, darà ragione di noi e ci farà stare al mondo con un certo stile. Come un compositore che decide anzitutto la tonalità di un brano musicale che si appresta a comporre: maggiore o minore? E subito si scrivono sullo spartito quei diesis e quei bemolle perché si senta proprio la tonalità. Sono mezzi toni, la differenza che c’è tra un tasto bianco e un tasto nero del pianoforte. La metà di un’intero… ma fanno la differenza. Puoi suonare una melodia allegra oppure intonare un lamento funebre.
Per un’orchestra che esegue una sinfonia, serve anzitutto qualcuno che dia il “la”, quella nota principale sulla quale accordare ogni strumento. Serve pure un direttore d’orchestra che batta il tempo, che metta gli accenti, un piano, pianissimo, un mezzo forte, un forte, un fortissimo… e quelle pause di silenzio tanto preziose. Che musica dunque sta suonando in questi giorni, in questo tempo? Quale composizione stiamo eseguendo? Dovremmo saperlo, potremmo deciderlo ora… prima che arrivino gli angeli nella notte di Natale a cantare sopra la capanna, dal più alto dei cieli e ci trovino impreparati, incapaci di unire alle loro le nostre voci.
Mi colpisce parecchio quando nella liturgia eucaristica si dice: “…e noi, fatti voce di ogni creatura, esultanti cantiamo…” Quasi che ogni essere vivente, incapace di parlare, deleghi queste creature parlanti che siamo noi a cantare. Solo così si capisce il Cantico delle Creature di Francesco. Solo così si capiscono le parole dei salmi. Le creature attorno a noi, tutto ciò che vive assieme a noi, è come se ci ascoltassero mentre eseguiamo la nostra felice danza alla Vita, un inno al Creatore in nome di ogni creatura, o piuttosto intoniamo marce funebri e procediamo con passo mesto.
È urgente riconoscere che siamo stati visitati, che qualcuno c’è venuto incontro. In ultima battuta posso pensare direttamente al Signore Dio, ma concretamente è una somma di piccole visite quotidiane: un passero che si posa in pieno inverno sul davanzale di casa; un animale domestico che ti corre incontro a farti le feste quanto torni a casa; qualcuno a cui, mentre stai passeggiando per strada, vengono le “zampe di gallina” attorno agli occhi: è segno che, dietro la mascherina, ti stava sorridendo; o una persona amica che telefona o manda improvvisamente un messaggio di saluto. Siamo continuamente visitati dalla sapienza di Dio che compie le sue opere in nome di quel Dio che – non dimentichiamocelo – si chiama “Emmanuel”, Dio-con-noi… scritto proprio tutto attaccato per dire che o è così oppure non è Lui.
È venuto Giovanni Battista, con il suo accento ascetico, il quale voleva solo avvertirci della vicinanza di Dio e del suo regno. Era già in mezzo a noi. Le sue rinunce esprimevano la sua attesa, la sua ricerca… finché un giorno si trovò davanti agli occhi, Colui che decise di immergersi in questa vita terrena fino alla fine. È venuto il Figlio dell’uomo ad assicurarci che ogni persona è visitato da Dio, anche il più lontano, il più diseredato, il più disgraziato… per mutare lamenti in canti di festa. Il tempo dell’Avvento è tempo per accorgerci di queste quotidiane visite; è tempo per accordare gli strumenti. Intonate il canto e suonate il timpano, la cetra melodiosa con l’arpa. Suonate la tromba nel plenilunio, nostro giorno di festa (Salmo 80). La liturgia di oggi ci fa pregare con il salmo primo. Il libro dei 150 Salmi si apre come una meditazione sulla vita dell’uomo, con alcune domande circa l’esistenza dell’uomo – soprattutto quando è diffide e provata – ma poi tutto volge a comporre una sapiente lode a Dio. Che sia un’immagine del nostro cammino terreno? Che sia proprio la partitura da eseguire intanto che camminiamo sulla terra?
Scrive sant’Agostino a proposito di cammino e di canti: “Cantiamo qui l’alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell’ansia e nell’incertezza. E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male. Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l’alleluia. […] Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell’alleluia cantato lassù! Alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità.
Signore, io lancio la mia gioia verso il cielo
come un volo di uccelli.
La notte è passata,
la luce del giorno mi rallegra.
Sono felice, o Dio,
sono felice, sono felice.
I salmi cantano il tuo amore,
i profeti l’hanno annunciato.
Noi lo viviamo:
ogni giorno nella tua grazia.
(preghiera dell’Africa occidentale)
Dal Vangelo secondo Matteo (11,16-19)
In quel tempo, Gesù disse alle folle: «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».
Signore,
aiutaci a cogliere
nel gemito della creazione,
non rantoli di morte,
bensì lamenti di partoriente;
aiutaci a cogliere
nella protesta l’albeggiare della giustizia,
nella croce la promessa della risurrezione,
nella sofferenza i semi della gioia.
(Ruben Alves)
E prima di salutarci… mi permetto di invitarvi stasera davanti al piccolo schermo su Rai2, alle ore 21.15 per guardare “insieme” un film che io ho trovato bellissimo: “TROPPA GRAZIA” di Gianni Zanasi. Io non amo stare davanti alla televisione. Mi addormenta in poco tempo. Di base preferisco un libro. Al cinema poi ci sono andato una o due volte l’anno, al massimo. Questo film è uno degli ultimi che ho visto l’ho trovato meraviglioso. Utile per smantellare certi stereotipi religiosi e certi luoghi comuni, ma soprattutto per quel viaggio interiore che ci auguriamo di compiere, mentre esternamente ci muoviamo tra impegni quotidiani e fatica di stare al mondo. Buona visione!
La grazia è la “qualità naturale di tutto ciò che, per una sua intima bellezza, delicatezza, spontaneità, finezza, leggiadria, o per l’armonica fusione di tutte queste doti, impressiona gradevolmente i sensi e lo spirito” ed è anche, alla sua maniera un po’ scombinata e guizzante, la qualità maggiore del film di Gianni Zanasi.
Un film fortemente liberatorio, che muovendosi tra favola, realismo, magia e miscredenza solleva (come sempre nel cinema di Zanasi, del resto) una serie di questioni centrali nella contemporaneità in continua corsa contro se stessa. Questioni che molto poco, se non per nulla, hanno a che fare con la religione o con l’afflato spirituale, ma che invece scavano nei bisogni che più umanamente coinvolgono tutti noi. A cominciare dal bisogno di credere in qualcosa – partendo da se stessi – e dalla necessità di badare alle piccole bellezze che ci circondano e che ci possono far sopravvivere o imparare a vivere un po’ meglio. (da cineforum.it)
Tu Signore ci insegni la sapienza nell’intimità, e la insegni a chi viene a Te con cuore sincero. Dinnanzi a Te crollino tutte le maschere, si possa giungere con la verità del nostro cuore, che Tu da sempre scruti e conosci. Anche la nostra sapienza sarà ritenuta giusta per le opere che, con il Tuo aiuto, per tanta e a volte “Troppa grazia”, riusciremo a compiere.
Grazie mille Don Stefano! Oggi, che sono alla vigilia del primo esame da “tornata” all’università, è particolarmente calzante. Ed il ricordo del film che già avevi suggerito mi distende subito il viso in un sorriso…Giusto in tempo per cambiare la partitura del giorno! ????
Ha quasi del mistico ascoltare gli accordi che i musicisti dalla buca d’orchestra diffondono nel teatro prima dell’ esecuzione. Solo con la nota giusta e con la guida del maestro potranno compiere l’opera.
Siamo tutto figli, sentiamo perlopiù senza ascoltare, eppure parliamo.
Le riflessioni di stamattina mi hanno alleggerito il cuore! Grazie Don Stefano!