Tronisti?
Giotto di Bondone, Legenda di San Francesco, la visione dei troni (dettaglio), 1297-1299, Assisi, basilica superiore
Martedì della II settimana di Quaresima (Is 1,10.16-20 / Sal 49 / Mt 23,1-12)
Bei Gott bin ich geborgen, still, wie ein Kind,
bei ihm ist Trost und Heil.
Ja, hin zu Gott verzehrt sich meine Seele,
kehrt in Frieden ein.
Sono al sicuro con Dio, ancora, come un bambino,
con Lui è consolazione e salvezza.
Sì, verso Dio la mia anima si consuma,
torna in pace.
Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Siamo invitati molto esplicitamente a vegliare a quel pericoloso bisogno di distinzione, a quel bisogno di dominio. Probabilmente nelle prime comunità di discepoli già qualcuno era caduto in questa trappola, sicché Matteo sente il dovere di richiamare quelle parole che Gesù ha detto per sottolineare comportamenti già notati altrove. Evidentemente non siamo solo noi cristiana ad aspirare alla felicità, alla pace, alla vita fraterna. È palesemente un bisogno dell’uomo che tuttavia dimentichiamo spesso.
Ci si lagna parecchio dello stato di salute del nostro credere: la «povera gente» dubita d’avere perso la fede; ai vertici invece si discute di cosa fare per ridare alle comunità un certo grado di appeal, cioè quella capacità di essere ancora attrattivi. Mi pare di comprendere che c’è un solo rimedio per curare i mali che affliggono anche le comunità dei credenti: ritornare al Vangelo. Ritornare a lasciare che il Vangelo ci aiuti ad analizzare la nostra vita. Non si tratta di vedere se qualcuno tra noi è chiamato Maestro, Padre o Guida. Tornare al Vangelo significa chiederci personalmente se mi piacerebbe indossare un titolo autorevole oppure no. E non si tratta nemmeno d’essere così ingenui da non sapere che servono padri e guide per vivere. La storia sembra tuttavia illustrarci che la corsa in quella direzione non manca. Il Vangelo invece, invitando a volgere il nostro sguardo in altra direzione, sembra farci notare che mancano piuttosto coloro che nemmeno vorrebbero essere chiamati «servi» ma che vivono come tali.
In questi giorni, ho ripreso in mano un libro, per rileggermelo. E ogni volta lo trovo splendido. Non l’ho scelto a caso tra i miei libri. Sono andato proprio a cercarlo per questo particolarissimo momento storico, per questo nuovo spartiacque della storia mondiale. Trascrivo: «Abbiamo costruito l’Europa del benessere materiale e sulla ricerca del benessere abbiamo impostato le regole della convivenza. Ma l’Europa non è mai stata solo questo. All’origine dell’idea c’era la ricerca della felicità, che è tutt’altra cosa. […] È venuto il tempo di tessere di città in città una rete con i fratelli degli altri Paesi per far sentire meno soli chi non si rassegna al linguaggio della violenza.» (Paolo Rumiz, Il filo infinito, ed. Feltrinelli).
Signore, noi ti cerchiamo
e desideriamo il tuo volto,
fa’ che un giorno, rimosso il velo,
possiamo contemplarlo.
Ti cerchiamo nelle Scritture
che ci parlano di Te
e sotto il velo della sapienza,
frutto della ricerca delle genti.
Ti cerchiamo nei volti radiosi di fratelli e sorelle,
nelle impronte della tua passione,
nei corpi sofferenti.
Ogni creatura è segnata dalla tua impronta,
ogni cosa rivela un raggio
della tua invisibile bellezza.
Tu sei rivelato dal servizio del fratello,
al fratello sei manifestato dall’amore fedele
che non viene meno.
Non gli occhi ma il cuore ha la visione di Te,
con semplicità e veracità
noi cerchiamo di parlare con Te.
(dalla liturgia di Bose)
Oh caspita, non conoscevo Rumiz e nemmeno questo suo testo, ma trovo davvero che ” È venuto il tempo di tessere di città in città una rete con i fratelli degli altri Paesi per far sentire meno soli chi non si rassegna al linguaggio della violenza.”
È compito nostro, di ciascuno di noi, contribuire in tal senso. Non è solo utile per tutti, ora piú che mai è necessario per agire il cambiamento che tutti ci auguriamo di vivere.
Tutti noi esseri umani siamo attratti dal “potere” dimenticandoci così che il vero “dominatore” della storia è quell’ esserino nato 2000 anni fa, al quale dovremmo fare riferimento durante il corso di tutta la nostra vita. Mai come in questo periodo storico che tutta l’umanità sta vivendo, stiamo comprendendo che con le nostre sole mani, pensieri, decisioni stiamo andando contro noi stessi, e contro gli altri fratelli che incontriamo sul nostro cammino, mentre la strada ci fu preparata da quel Gesù bambino nato e morto per noi, per la nostra salvezza.