Umani stillicidi e tocchi di compassione
VI domenica del Tempo Ordinario (B)
(Lv 13,1-2.45-46 / Sal 31 / 1Cor 10,31-11,1 / Mc 1,40-45)
Un giorno, alla vista d’un lebbroso che gli correva incontro come nessuno avrebbe mai osato fare (nel vero senso della parola, perché era vietato), quel giorno fu Gesù per primo a sentirsi toccare nel profondo: la compassione è un contatto interiore che sempre precede una manifestazione di tenerezza, di misericordia, di affetto o di carità. Quanto più il segno esteriore che esprimerà la compassione è deciso, determinato, chiaro e perfino ardito e coraggioso, tanto più grande è la cassa di risonanza interiore. Ormai lo abbiamo imparato bene che, evangelicamente parlando, la compassione nasce dentro l’uomo come un figlio va facendosi posto nel ventre di una madre. La compassione è il progressivo dilatarsi di uno spazio per l’altro. Il contatto è il naturale incontro di quello spazio dove si genera vita.
La vista di quel primogenito tra i morti (così venivano anche chiamati i lebbrosi) gli rimbombò dentro come una contraddizione stessa all’uomo… e a Dio che continuamente prova a farsi conoscere come amante della vita, Colui che non gode della morte e nemmeno ha pensato di crearla. Dentro l’uomo esistono questi luoghi cavi, proprio come sotto la crosta terrestre ci sono grotte e caverne dove continuamente stillano domande e si vanno addensando e prendendo forma pensieri, decisioni, convinzioni. Come stalattiti e stalagmiti sotto la crosta terrestre.
Ogni situazione di malattia, di morte e di esclusione, ogni domanda che trova una eco dentro di noi è un contraddittorio stillicidio. Il lebbroso porta in sé questa contraddizione, come fosse un dibattimento continuo di due parti che dentro di lui gridano e continuano a discutere tra loro. In questo contraddittorio dibattimento interiore, dove nemmeno la Legge riesce a dire con chiarezza, l’uomo continuamente cerca di comprendere. Sentiva necessario – e non solo perché comando – quel tenersi lontano dagli altri per evitarne il contagio, ma sentiva altresì quel desiderio di non starsene sempre confinato e solo, perché anche questo è morte, contraddizione alla vita stessa che è comunione, incontro, contatto, condivisione.
Questo fa la lebbra, immagine di ogni esclusione, comprese le esclusioni normate. Proprio in tempi come quelli che stiamo vivendo, ci è più facile ascoltare e comprendere meglio questo dibattimento interiore di ogni lebbroso, di ogni persona esclusa per qualche motivo dalla possibilità di essere relazione. La carne del lebbroso si lacera perché è dentro, nel profondo, che si genera questa lacerazione: doversi astenere da ogni contatto eppure, proprio in quel frangente, desiderarlo maggiormente.
Sentiamo che non è nella lontananza la soluzione del mal di vivere ma non sappiamo più come fare a raggiungerci, a metterci nuovamente in contatto. È il male che dobbiamo respingere eppure così ingenuamente ce ne facciamo intaccare. Questo è ciò che il pericolo di contagio rivela maggiormente: la nostra facilità ad entrare in contatto più facilmente col male che cercare il bene ad ogni costo. Si mette a sistema l’allontanamento proprio perché non siamo capaci di spiegarci come succede dentro di noi che vediamo il bene ma non riusciamo a compierlo. Non sto parlando di cosa da pandemia, intendiamoci. Sto pensando a quella facilità con cui continuiamo ad escludere (anche dalle nostre assemblee) chi maggiormente ne avrebbe più bisogno… e stanno lì, alla porta del nostro cuore a chiedere di poter entrare. Temiamo forse di non reggere l’imbarazzo di sentirci toccati davvero da Gesù Cristo e dal suo Vangelo perché semplicemente ci crediamo di quelli che possono stare a contatto con Lui.
Poi, dopo la guarigione, chiese il silenzio perché ancora dobbiamo imparare a non confondere la compassione con il miracolo. Perché è il silenzio che ancora ci serve per comprendere ciò che accade dentro e fuori di noi. Verranno i giorni del canto e della lode, della testimonianza… ma ora è ancora il tempo del silenzio, della riflessione, perché anche il bene ricevuto quasi fosse un miracolo, va compreso e interiorizzato. Altrimenti sarà solo una superficiale guarigione.
Spirito santo,
dammi del soffio per vivificare la mia anima.
Riposami dall’ansimante ricerca
del mio cammino febbrile
con la fragranza dell’eternità,
e prima che io muoia,
grazie per abbagliarmi con il tuo respiro.
(dal film «Mission»)
Dal Vangelo secondo Marco (1,40-45)
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
È la nostra condizione, Signore,
non possiamo, non possiamo non gridarti contro
davanti a certe situazioni di disperati,
e non sappiamo a chi altro ricorrere
anche se sentiamo che non è giusto
che Tu intervenga: ne va di mezzo
il libero gioco e la concessa autonomia del mondo.
E poi, perché – nel caso – io venga sanato
e un altro mio fratello
invece è sempre più perduto?…
ma ci basta credere,
ed essere certi che Tu ci ami!
Amen.
(David Maria Turoldo)
C’è sempre qualcuno che bussa alla nostra porta e chiede di entrare e di essere ascoltato. Ti chiedo Signore di fare sì che la mia porta sia sempre aperta
In natura convivono rami sani con altri ammalati, ed è come una carezza quando in silenzio, mossi dal vento si sfiorano. E insieme abitano fiori e frutti perfetti con quelli che non lo sono e la pianta porta nutrimento a tutti, indistintamente.
Quante cose può insegnarci anche solo un piccolo arbusto.
Tempo fa, un ex collega mi suggerì di fare una novena in un Santuario molto conosciuto nella nostra zona per ottenere la guarigione di mio marito. Lì per lì, sentendolo così convinto, pensai di avere proprio poca fede perché non ci avevo mai pensato… Ma gli risposi usando più o meno le parole trovate in questa bella riflessione. “E poi, perché- nel caso – io venga sanato e un altro mio fratello invece è sempre più perduto?… ma ci basta credere, ed essere certi che Tu ci ami!”
Grazie Signore, perché la Tua compassione,la Tua tenerezza e la Tua vicinanza non mancano mai. E mi basta…
Da chiacchierona quale sono e sono sempre stata, ben capisco la fatica del trattenere la parola. Negli anni ho imparato a trattenerla maggiormente e, così facendo, riuscire anche a rendere effettiva qualche sorpresa che il mio entusiasmo mi portava ad anticipare. Ma ad essere sincera è stato solo quando al silenzio sono stata costretta per motivi fisici che ne ho compreso meglio il senso. Finché non ci sono stata “costretta per forza” non riuscivo davvero a dedicarmici e tutt’ora mi è ancora necessaria una certa fatica per arrivarci e, solo allora, goderne i frutti. Siamo sempre lì: è faticoso -vero- ma non impossibile. Basta impegnarsi un cicinin di più con un pochetto di costanza, il resto vien da sè!”
Grazie per insegnarci a state più vicini. Buona Domenica.