Un luogo sicuro dove incontrare Dio
Spirito Santo, eterno Amore,
che sei dolce Luce che mi inondi
e rischiari la notte del mio cuore;
se Tu ci lasci non più d’un passo solo avanzeremo!
Tu sei lo spazio che l’essere mio circonda e in cui si cela.
Se m’abbandoni cado nell’abisso del nulla,
da dove all’esser mi chiamasti.
Tu a me vicino più di me stessa, più intimo dell’intimo mio.
Eppur nessun Ti tocca o Ti comprende
e d’ogni nome infrangi le catene.
Spirito Santo, eterno Amore.
(Edith Stein, santa Teresa Benedetta della Croce)
Dal Vangelo secondo Matteo (18,15-20)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Se, come dicevamo ieri, è volontà di Dio che nessuno si perda, eccoci pronti oggi a fare di tutto per guadagnare un fratello piuttosto che perderlo. Perdere un fratello è anche perdere qualcosa di sé poiché noi siamo l’altro. “Se un fratello pecca contro di te” significa che nello sbaglio del fratello non c’è solo il rischio che egli sia perduto, ma c’è a rischio anche quella parte di sé che è alimentata da quella relazione. Si perderebbe dunque il fratello e certamente un po’ anche se stessi.
In tempi in cui, citando pure il Vangelo, si dice spesso: “Chi sono io per giudicare?” il rischio è forte di non fare discernimento. L’obiettivo in questione non è pronunciare un giudizio morale su una azione compiuta da un’altra persona per creare una separazione tra coloro che hanno ragione e coloro che hanno torto. L’obiettivo, va ribadito, non è giudicare ma non perdere un fratello, non perdere una comunione che c’è stata offerta, nella quale siamo nati.
Questa operazione, nella vita dei discepoli del Vangelo, va sotto il nome di correzione fraterna. Dobbiamo pure dirlo che non è una pratica diffusa nella comunità. Quando Pietro chiederà a Gesù: “Noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?” (Mt 19,27) Gesù non esita a rispondere che “chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto” (Mt 19,29). Seguire Gesù è perdere la propria vita, quella vita che anche nelle parole di Pietro sembra essere legata più alle cose che ad altro. Il vero guadagno è la stessa vita collocata in un contesto di relazioni umane. Gesù non ha chiamato i dodici solo perché seguissero Lui indistintamente dagli altri. Egli chiama i suoi discepoli perché vivano un’esperienza fraterna e di vita comune. Seguire Gesù comporta proprio questo inserimento in una comunità di persone, fuori dal proprio nucleo famigliare, fuori dai legami originari di parentela.
In questo nostro tempo stiamo pure assistendo ad una perdita ancora più consistente in termini di vita fraterna o di vita ecclesiale. Non che tempo fa fossimo dei campioni! Diciamocelo pure: abbiamo sempre vissuto un cristianesimo molto individualista. Frequentare una comunità ecclesiale anche solo partecipando all’Eucarestia non è mai stato un gesto fatto con la coscienza che quel nostro esserci personalmente servisse all’edificazione di una comunità. Si va in chiesa per sé stessi più che per fare segno con gli altri di una comunione alla quale siamo tutti chiamati. La comunione all’Eucarestia è la “mia” comunione. È fatta per se stessi e non per dire che senza l’altro noi rischiamo di perderci e di morire come figli incamminati nel deserto che non hanno pane da mangiare e da condividere. E nessuno di noi è addolorato se qualcuno non si accosta alla tavola del Signore. Ci limitiamo ad un giudizio sommario, magari a vantaggio di chi s’è accostato all’Eucarestia, ma non proviamo il desiderio di avvicinare un fratello che mi è stato accanto in quel tempo di preghiera per comunicargli la gioia di quell’incontro con Dio e con i fratelli.
La pandemia, in questo senso, ci ha dato dunque conferma di un processo di disgregazione comunitaria in atto da tempo? S’è davvero perduta la comunione tra fratelli? Bastiamo a noi stessi? Ancor di più varrà la legge del “si salvi chi può”? Forse è proprio qui che dobbiamo metterci al lavoro per non perdere il bene grande della vita fraterna. Lo si respira nell’aria e anche nella Chiesa: c’è un individualismo crescente anche se nei giorni della paura la solidarietà non ha mancato di alzare la sua voce. È stata forse una solidarietà mossa dalla paura che ora va ripensata e collocata in una coscienza che comprenda sempre più che da soli non possiamo vivere la nostra fede e quindi neppure la nostra esistenza.
Le tappe della correzione fraterna, stando alle procedure che il Vangelo stesso oggi ci consiglia, non hanno come obiettivo l’espulsione o l’esclusione anche laddove si dice che, dopo averle provate tutte, il fratello vada considerato come il pagano e il pubblicano. Ora, se non avessimo udito l’annuncio pasquale e l’invito che Gesù risorto fa di andare ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura, potremmo starcene tranquilli dicendo a noi stessi che sebbene abbiamo seguito le istruzioni, dopo aver fatto come il Vangelo ci consigliava di fare, alla fine dovremmo solo constatare che il fratello non ha accettato la correzione e s’è perduto…
Considerare un fratello come un pagano e un pubblicano non significa scomunicarlo e cacciarlo dalla comunione ecclesiale quanto piuttosto sentirlo come un potenziale nuovo destinatario del Vangelo stesso. Il Vangelo, dopo la resurrezione di Gesù, è annunciato ad ogni creatura, dentro e fuori la comunità dei discepoli. Pertanto, mi piace troppo pensarla così, chi va considerato come pagano e pubblicano non è un ex-fratello che devo solo compatire perché s’è come perduto in una sorta di auto-esclusione. Piuttosto devo considerarlo come un potenziale destinatario di un nuovo annuncio del Vangelo. Un po’ come se Gesù ci dicesse: si deve ricominciare tutto da capo, ma si ricomincia.
Scrive Edith Stein, divenuta Teresa Benedetta della Croce: “Prima e subito dopo la mia conversione, pensavo che una vita dedita alla pietà consistesse nel vivere soltanto nel pensiero del Signore, ma poi ho capito che in questo mondo ci viene chiesto altro e che perfino nella vita più puramente contemplativa il rapporto con il mondo non può essere tagliato. Credo perfino che più uno si addentra in Dio, e più è chiamato ad uscire da sé verso il mondo per portargli la vita divina“
Accordiamoci dunque presto per chiedere al Signore che ci aiuti a ritrovare un senso comunitario del vivere, ci faccia scoprire il bene prezioso di una comunione delle differenze e ci guarisca da questo sbaglio collettivo che ci vuole tutti un po’ autori di questo impoverimento, di questa perdita al senso evangelico della vita umana. In fondo siamo tutti alla ricerca di un paradiso, un luogo in qualche posto della terra o del cielo dove si possa stare bene, in pace, senza più preoccupazioni, paure e dolori. Cercare un luogo dove stare bene è certamente l’inizio della vita spirituale, un po’ come quando da bambini ci costruivamo nell’angolo della stanza o della casa un luogo che fosse come un paradiso dove invitare amici.
Dio non si può localizzare. Di Lui non si può dire che egli sia in un luogo piuttosto che altrove. Egli, lo ha detto Gesù, è dove due o tre sono riuniti nel suo nome. Perdere un fratello dunque cancella ai nostri occhi una possibilità di avere un luogo sicuro dove incontrare Dio.
Il salmo che oggi preghiamo può suonare un po’ strano. Cerchiamo anzitutto di comprenderlo. Celebra la gioia dell’unità delle dodici tribù di Israele espressa da un pellegrinaggio annuale a Gerusalemme. Canta la gioia dell’unità nella fede. Questa gioia viene espressa con delle similitudini significative. La prima è quella della gioia del popolo di fronte alla consacrazione del sommo sacerdote per mezzo dell’unzione con olio profumato. L’immagine dell’olio profumato dice anche che l’amore fraterno è una consacrazione, fa appartenere i fratelli a Dio e al disegno di Dio nel mondo. La seconda comparazione è quella della rugiada che scende sul monte Ermon. La carità fraterna è come la rugiada che rinfresca le erbe, le piante, e rende fertile il terreno. Così la carità fraterna è fonte di freschezza, di vivacità delle relazioni tra i fratelli, ed è risorsa per rendere fecondo il mondo.
Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!
È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste.
È come la rugiada dell’Ermon,
che scende sui monti di Sion.
Perché là il Signore manda la benedizione,
la vita per sempre.
Salmo 132 (133)
Di inizio in inizio per scoprire ed imparare a conoscere sempre più il nostro Signore e Padre Santo, cercando di conformare sempre più la nostra volontà alla Sua, nella speranza di non correre mai più il rischio di perderlo, semmai ci fosse capitato, o di essere da Lui ritrovati, se dovesse succedere.