Un viver comune da guarire
santi Simone e Giuda, apostoli
(Ef 2,19-22 / Sal 18 / Lc 6,12-19)
L’evangelista Luca – il «caro medico» come lo chiamerà Paolo – è per deformazione professionale molto attento al tema della guarigione e anche nel brano di Vangelo che oggi ascoltiamo per la festa dei santi Simone (lo zelota, per distinguerlo da colui che poi sarà chiamato Pietro) e Giuda (figlio di Giacomo per distinguerlo dall’Iscariota) l’accento è posto sulla forza di guarigione che si sprigiona da Gesù stesso.
Aveva appena guarito un uomo dalla mano rinsecchita (Lc 6,6-11) ed ora si continua a narrare questa divina volontà di guarigione. Tra la guarigione nella sinagoga e la chiamata dei Dodici c’è solo una notte di mezzo, notte di preghiera con Dio. Che cosa si saranno detti non sappiamo. La notte in preghiera è assimilata da molti esegeti alla notte della croce, all’ora delle tenebre. E come dopo la notte della morte segue l’alba di un nuovo giorno, il giorno della Sua comunità, così dopo la notte in preghiera segue la creazione di un gruppo di discepoli molto eterogeneo e – direi – del tutto casuale. Non scelse secondo criteri di efficienza, di simpatia, per affinità di pensiero, di idee. E forse proprio questo fu l’oggetto della preghiera: comprese e chiese di poter imparare a vivere in mezzo alla molteplicità e di insegnarci proprio questo.
L’uomo rimane un essere socievole, bisognoso di vita comune, ma spesso ci scegliamo per somiglianze e simpatie, per affinità di gusti o di pensiero. Gesù li scelse senza sapere se quegli uomini così diversi l’uno dall’altro avrebbero potuto esistere assieme. Poter stare assieme è già grazia di Dio. Ed è il nostro vivere comune – nel senso di quotidiano e collettivo – che ha bisogno di guarigione.
Nel suo libro «Vita comune», Dietrich Bonhoeffer scrive: il desiderio di guardare direttamente in viso altri cristiani non è per il credente motivo di vergogna, come se fosse ancora troppo legato alla carne. L’uomo è stato creato come corpo, nel corpo si è mostrato il Figlio di Dio sulla terra per amor nostro, nel corpo è stato risuscitato, nel corpo il credente riceve Cristo Signore nel sacramento, e la risurrezione dei morti attuerà la perfetta comunione delle creature di Dio, anime e corpi. Perciò il credente, attraverso la presenza fisica del fratello, celebra Dio creatore, riconciliatore e redentore, Dio Padre, Figlio e Spirito santo.
Se non ringraziamo quotidianamente per la comunione cristiana, in cui ci troviamo, anche nel caso che non si tratti di una grande esperienza, di una ricchezza visibile ma piuttosto di un aggregato di debolezze, di poca fede, di difficoltà; se anzi ci lamentiamo con Dio di tutta questa miseria e meschinità, niente affatto rispondente a quanto ci aspettavamo, impediamo a Dio di far crescere la nostra comunione fino a raggiungere quella misura e ricchezza già predisposta per noi tutti in Gesù Cristo.
Perchè si abbia la fraternità cristiana, tutto dipende da una sola cosa, che deve esser chiara fin da principio: primo, la fraternità cristiana non è un ideale, ma una realtà divina; secondo, la fraternità cristiana è una realtà pneumatica, non della psiche. […] In moltissimi casi un’intera comunità cristiana si è dissolta, in quanto si fondava su un ideale. E spesso è proprio il cristiano rigoroso, che entra per la prima volta in una comunione di vita cristiana, a portarsi dietro un’idea ben precisa del vivere insieme tra cristiani, e a cercare di realizzarla. Ed è poi la grazia di Dio che fa rapidamente svanire simili sogni. Dobbiamo cadere in preda a una grande delusione circa gli altri, i cristiani in genere e, se va bene, anche circa noi stessi, e a questo punto Dio ci farà conoscere la forma autentica della comunione cristiana. È la pura grazia Dio a non permettere che viviamo nell’ideale, nemmeno per poche settimane, che ci abbandoniamo a quelle gratificanti esperienze e a quella felice esaltazione che ci sopraggiungono come un’ebbrezza. Dio infatti non è un Dio delle emozioni dell’animo, ma un Dio della verità. La comunità comincia ad essere ciò che dev’essere davanti a Dio solo quando incorre nella grande delusione, con tutti gli aspetti spiacevoli e negativi che vi sono connessi; solo a quel punto comincia a comprendere nella fede la promessa che le è stata data. È un vantaggio per tutti che questa ora della delusione circa gli individui e la comunità sopraggiunga quanto prima.
La nostra funzione nel vivere insieme ad altri cristiani non è quella di avanzare esigenze, ma di ringraziare e di ricevere. Ringraziamo Dio per ciò che egli ha operato in noi. Ringraziamo Dio perché ci dà dei fratelli che vivono della sua vocazione, della sua remissione, della sua promessa. Non reclamiamo per ciò che da Dio non ci vien dato, ma lo ringraziamo per ciò che ci dà quotidianamente. La fraternità cristiana non è un ideale che noi dobbiamo realizzare, ma una realtà creata da Dio in Cristo, a cui ci è dato di poter partecipare».
Spirito santo,
rendici limpidi nell’amore.
Scalda i nostri cuori
e le nostre lingue
per risvegliare la comunità.
Anche se il nostro sguardo
non penetra nei piani di Dio,
Tu ci conduci dalle tenebre alla luce.
Amen.
Dal Vangelo secondo Luca (6,12-19)
In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Signore Gesù,
facci capire che i nostri gesti quotidiani
assumono un valore immenso, incalcolabile,
dalla coscienza della nostra missione,
dell’essere noi chiamati, amati da Dio,
generati da lui nella fede
perchè, attraverso i nostri piccoli gesti,
noi riempiamo il mondo
di fede, di speranza, di carità,
di giustizia, di amore.
I nostri gesti sono le piccole realtà quotidiane,
il nostro silenzio e il nostro inginocchiarci,
il nostro lavorare e il nostro sorridere,
tutto ciò che ci accompagna
dal mattino alla sera
in quella cornice di fede
che è la stessa della tua vita.
Perché noi siamo inseriti
nella tua vita e nel tuo mistero.
Donaci, Signore,
di riscattare tutti i nostri gesti
che ci annoiano e ci pesano,
con questa grande coscienza che è la tua
e nella quale tu ci inserisci
per tua grazia e per tuo dono.
Amen.
(Carlo Maria Martini)
Nell’opera «Quadrati con Cerchi concentrici» il pittore Kandinsky descrive gli effetti percettivi delle interazioni di colori e le loro qualità sensoriali. Lo studio verte su come vengono percepiti svariati accostamenti di colori e come interagiscono tra loro. Una profonda contaminazione espressionistica sul “sentire i colori” e “vedere i suoni”.
Trovo molto efficace la scelta dell’opera di Kandinsky in apertura alla riflessione di oggi, è un’ottima “sintesi visiva” dei concetti espressi di seguito. Le sfumature perfettamente allinate di una medesima tinta sono belle, senz’altro, ma hanno una dinamicità limitata, effettivamente “monotona” (anche nel senso proprio del derivare appunto da un medesimo tono). La dinamicità richiede contrasti, che portano o a braccetto vivacità e brillantezza. È attraverso i contrasti che si valorizzano davvero i singoli colori (ed anche le personalità!). È imparando ad accostarli sapientemente che si giunge a sfruttarli al meglio perché portino al necessario ecquilibrio (sulla tela come nella vita). Non c’è da temere le diversità, i contrasti d’idee ed opinioni… Anche e soprattutto lí sta il “sale della vita”. L’importante è imparare ad “accostarsi” (come i colori) senza cercare di sovrapporsi o prevaricarsi, allora sí che si brilla al meglio, valorizzandosi l’un l’altro, “a braccetto”.