Vivace nel fare… ma ascolta per vivere

Commenti: (5)
Data :6 Ottobre 2020
Sergio Garau, paesaggio toscano

Spirito Santo,
presenza della Chiesa
che mi attraversi da parte a parte,
Tu, mia ispirazione,
mio fuoco interiore,
mio refrigerio e mio respiro.
Tu che sei dolce come una sorgente,
e bruci come il fuoco.
O unione di tutti i contrari, radunaci,
fa’ l’unità in noi e attorno a noi.

(Jean Guitton)

Dal Vangelo secondo Luca (10,38-42)

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Il viaggio è lungo e in salita verso Gerusalemme. Il sole da quelle parti, a mezzogiorno o al tramonto che sia, colora sempre di sé l’enorme cielo sopra quella casa… il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. Un giorno, con grande sorpresa trovò una casa aperta, un luogo che gli diventò caro, perché cari erano gli amici all’interno di quella casa. Una donna di nome Marta si fa prossima e lo invita. La casa non riesco ad immaginarmela grande. Una piccola casa: perfino gli alberi la sovrastano. Storie minuscole le nostre. Nel panorama globale cosa vuoi che sia quella casa? Eppure così decisiva per il cuore! Il Maestro, in quella casa, potrà parlare liberamente senza temere che qualcuno possa interrogarlo per metterlo alla prova. 

Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” aveva appena chiesto un dottore della Legge. E il Maestro a raccontare di strade pericolose, di incontri ignoranti, di compassione profonda, di olio, di vino, e di locande. E non ci resta che immaginare il miglioramento della salute di quell’uomo incappato nei briganti.

Fa’ questo e vivrai” disse. Usciti dalla parabola, tornando alla realtà, ora sembra che tutto accada proprio per Gesù. Marta diventa esempio nella realtà di un farsi prossimo per ospitare a casa sua quel viandante. Facendo così,  sente di essere più viva. Ed è pure vero: ci pare di essere più vivi quando si è più vivaci nel fare, quando siamo indaffarati. E se sei felice di fare quello che stai facendo non senti neppure il peso e la fatica. Lo fai, ti piace farlo e basta. Lo ospitò, dice il Vangelo. Una sola parola discreta, che racchiude tutto. Una parola che traduce l’accoglienza tipica di quella cultura e di tutto il mondo mediterraneo. Una parola che lascia intuire la bellezza di quell’incontro e soltanto chi conosce l’arte dell’ospitalità riesce anche ad immaginare tutto quello che c’è da fare. Ma appunto, la parola discreta – lo ospitò – non fa pesare nulla del backstage, del dietro le quinte. 

La scena evangelica, paradossalmente, si agita quando si intravede la calma pacifica della sorella Maria. Per tutto il racconto Maria non parlerà. Ma il suo comportamento rimbomba come una provocazione agli occhi della sorella e agli orecchi del lettore di questo brano. Marta ha scelto di seguire semplicemente le usanze e tradizioni: prima tutti i gesti e i riti dell’ospitalità. L’acqua per i piedi sporchi, un vestito di ricambio, il cibo che non deve mai finire sulla tavola finché l’ospite non avanza qualcosa nel piatto di portata. Soltanto terminato il pranzo ci si potrà trattenere in discorsi e si potrà pure chiedere l’identità dell’ospite accolto soltanto perché toccati dal suo visibile bisogno di riposo e di quiete.

Maria ribalta ogni tradizione culturale. Mette prima l’ascolto e si siede ai piedi del Maestro. Ora, in mezzo a loro c’è Colui che serve un altro cibo: le sue parole sono nutrienti tanto da far concorrenza al migliore dei piatti preparati da Marta. Marta sclera in un attimo, dimenticandosi di tutte le regole del galateo giudaico: chiede a Gesù di dare ordine a sua sorella. Ben fatto, Maria! Quel suo stare in ascolto del Maestro ha ottenuto il risultato sperato: Marta voleva che Maria la aiutasse e di colpo accade il contrario. Maria voleva che sua sorella si mettesse in ascolto di Gesù, la parte buona. Senza far nulla, ottiene il risultato sperato. Marta, fino a quel momento affaccendata in molti servizi, abbandona rituali tradizionali di ospitalità pretendendo che l’ospite impartisca ordini. Sappiamo che non spettava di certo alla persona ospitata dare ordini a chi serve in casa. Sarebbe come dire a chi invita e accoglie che s’è dimenticato di qualcosa e che quindi la sua ospitalità non è proprio al top! Quella richiesta di aiuto sulla bocca di Marta – dille che mi aiuti!– suona dunque stonata. Sembra perfino lasciar intendere che il piacere di ospitare s’è trasformato in una pesantezza insostenibile. 

La cosa più deliziosa è che ora Gesù offrirà una parola che ne vale tre: una per Marta, una per Maria… e una per noi che senza accorgercene, siamo stati accolti in quella casa, anche noi ad ascoltare il Maestro. Una parola che non è rimprovero e neppure comando. È una parola che svela l’agitazione che c’era in fondo al cuore di ciascuno e indica ciò di cui veramente c’è bisogno. Un invito a calmarsi.

L’immagine sottostante è una reinterpretazione del detto: non sento, non parlo, non vedo. Ma mi piace guardarla agli occhi del brano di vangelo odierno. Marta non vuole ascoltare presa dai molti servizi e Maria, dall’altra parte, sembra non vedere tutto quello che c’è da fare. Al centro l’invito al silenzio, la parte buona che permette il vero ascolto e, forse, da una visione vera. 

Concedimi Signore,

di stare alla Tua presenza

e di adorarTi nel profondo del cuore.

Aiutami a far silenzio,

intorno a me e dentro di me,

per poter meglio ascoltare la Tua voce.

Ispira Tu i miei pensieri, sentimenti,

desideri e decisioni affinché io cerchi,

sempre ed unicamente,

quello che è più gradito a Te.

Spirito Santo, dono del Padre,

crea in me un cuore nuovo,

libero per donarmi senza riserve,

seguendo Cristo umile e povero.


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Piccoli Pensieri (5)

Silvia

Marta, Marta… Quanta dolcezza nel pronunciare il suo nome… Il solo Suo pronunciato dona pace, serenità e desiderio di fermarsi ai Suoi piedi per ascoltarlo… Lui chiama anche me con dolcezza ma sembra che le mie orecchie siano tappate e così mi rendo conto che l’ansia prende il sopravvento e mi scaraventi nel caos… Ti prego Signore aiutami ad ascoltarti e a concentrarmi sul Tuo silenzio che parla

6 Ottobre 2020
Emanuela

A volte la fatica fisica è più appagante, si vede subito il risultato.
Fermarsi ad ascoltare richiede uno sforzo diverso, a volte più faticoso. Perché non sempre gli insegnamenti del Maestro sono facili da ‘digerire’… ci vuole tempo, quel tempo che non abbiamo o non vogliamo avere, perché si veda un risultato.
Ed è così difficile oggi aspettare.

6 Ottobre 2020
Adriana Salvi

L’ascolto…una capacità essenziale per conoscere, incontrare e tessere relazioni profonde con se stessi e con gli altri. Eppure quanto difficile praticarla,specie oggi!
Viviamo in una società che privilegia la parola urlata,che offende e nega l’altro o che falsifica la verità;che divide e crea contrapposizione e lacera il tessuto delle relazioni…
La pandemia mi ha regalato un tempo disteso x riflettere e riprendere il contatto con me stessa e con Dio. E allora anche la solitudine e il dolore sono state illuminate.

6 Ottobre 2020
Rosaemma

“Marta,Marta,tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma….”. Ricordo con tanta nostalgia due mie carissime zie, del tutto simili alle due sorelle descritte in questo brano evangelico…Una,vivace e attiva, indaffarata nelle spese e in cucina… l’altra, tranquilla,studiosa e pia, sempre con i libri in mano, impegnata nella correzione dei compiti ai nipoti ed anche nella preghiera. Rammento che loro stesse citavano, sorridendo, questo brano e ne interpretavano le parole di Gesù.

6 Ottobre 2020
Arianna

Quanto ci serve, davvero, la quiete per ascoltare davvero. A leggere queste riflessioni di oggi mi è tornato subito alla mente il periodo in cui fui ricoverata per mesi, durante il quale -pur nella fatica di adattarmi a limiti e ritmi nuovi- mi sentivo stranamente più in contatto con la spiritualità. C’ho messo un po’ a capirlo, ma in fin dei conti era semplicemente che, non avendo che pochissimo altro di cui occuparmi, mi potevo “perdere” in letture e pensieri cui normalmente non avrei potuto dedicarmi. Allora capitò a seguito di una “quiete indotta”, ora -dopo aver assaggiato i frutti buoni di quel periodo- cerco di ritagliarmi io dei momenti di quiete analoghi. Spesso mi aiuta il perdermi a contemplare la bellezza della natura, anche in città. Incantarmi a vedere anche le piccole meraviglie del creato, mi aiuta ad astrarmi dal caos del tran tran quotidiano, e perdermi un attimo a ringraziare per la bellezza dei doni di Dio.

6 Ottobre 2020

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