Vivi e liberi… Cento volte tanto

Categoria :Omelie
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Data :14 Ottobre 2018

XXIII domenica del Tempo Ordinario

(Isaia 35,4-7 / salmo 33 / Giacomo 2,1-5 / Marco 7,31-37)

Leonardo e Andrea. Due cugini. Entrano in chiesa. Non da soli. Circondati da una moltitudine di parenti ed amici. Tra le braccia di mamma e papà. Nati da poco. Caratteri già ben determinati: l’uno pacifico e pi incline al riposo. Il secondo dorme a fatica dicono i genitori. Taciturno il primo, più «loquace» il secondo. Inizia la celebrazione e Andrea si fa sentire in un pianto che pare disturbare un assemblea più o meno convinta di essere raccolta in ascolto e in preghiera. Mi dedico (o mi distraggo forse) ad ascoltare quel pianto, fatto di vagiti e strilla. Sorrido. Non sono preoccupato di quel pianto e non mi disturba affatto. Per fortuna, mi dico, ha qualcuno che lo ascolta.
È fame e sete: il latte, cibo e bevanda al contempo lo calmerà. Prime percezioni di pericolo. Avvisaglie di una vita che finisce, che muore… se non viene nutrita. Al corpo ci si pensa. Ma oggi – e spero sia un «oggi» evangelico – si pensa anche allo Spirito e alla Vita che egli sostiene. Andrea piange come si deve piangere per venire alla luce. Si deve piangere e strillare a volte per sentirsi vivi, per far sentire che siamo venuti al mondo. Si piange perché è fatica nascere. Piangono i genitori… di gioia. Andrea piange perché sa che deve nascere di nuovo e di nuovo gli tocca un travaglio, a lui come ai suoi genitori. Andrea piange perché sa che deve morire: deve morire Adamo in lui e deve nascere un altro figlio di Dio. Dovranno fare posto a Cristo, l’uomo nuovo che troppo spesso resta sepolto nelle zone d’ombra. Devono venire alla luce, ci vuole Qualcuno che li illumini. Ci proverà un’alta Madre, la Chiesa, a donare questa vita nuova a queste due creature. A noi la Madre affida le parole buone da dire e i gesti da compiere a sigillo.
Sarà un cammino di liberazione quello che inizia con il Battesimo. Un inizio per loro e un nuovo inizio per noi che non smettiamo di cadere nella trappola del Male e preferiamo starcene chiusi in gabbia pur sapendo che la libertà non è da confondersi con una sicura protezione.
Dovranno un giorno partire, lasciare… se vorranno entrare nella vita eterna. Sentiamo ancora l’eco delle parole delle scorse liturgie domenicali: «se vuoi entrare nella vita eterna» è meglio tagliare… tagliare ciò che ostacola, o potare perché porti più frutto. E poi è scritto fin dal principio – nella Bibbia come nelle storie di tanti popoli e di tante religioni – bisogna lasciare il padre e la madre per dare vita ad una nuova storia. Si taglia e si separa, si taglia e si cuce: un vero lavoro degno del più abile sarto, per confezionare quella tunica tutta d’un pezzo che non verrà lacerata né strappata.
«Che cosa chiedete per i vostri figli alla Chiesa di Dio?». Il battesimo. La fede. La vita eterna.
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» La voleva ereditare la vita eterna. Era disposto a guadagnarsela pure a suon di sacrifici precipitando in una scrupolosa osservanza dei comandamenti. Per poi sentirsi dire che non la si ottiene così la vita eterna. Non è l’osservanza dei comandamenti che ce la procura. Si entra nella vita eterna, si è introdotti, affiancati e accompagnati, come questi due bambini che ci stanno facendo compagnia in questo commento alla Scrittura. Sono gli stessi bambini che Dio aveva posto in mezzo, li aveva benedetti e abbracciati, così incapaci di acquistarsi meriti e posti in paradiso. Nemmeno ci pensano. Loro lo sanno che i loro angeli vedono la faccia del Padre, lo sanno che i loro nomi sono scritti nel cielo. Poi lo dimentichiamo. Subentrano altre strane idee… di posti d’onore, di potere, di apparenze e di meriti. E la religione fa la sua parte nel chiedere osservanze, obbedienze… ma una cosa sola era necessaria ed è a detta dello stesso Maestro, la cosa migliore: ai piedi di Gesù per ascoltarlo. È così che si entra nella vita eterna. Seguendo Lui. Glielo disse in modo esplicito: «E vieni! Seguimi!». Non per conquistare la vetta ma per accogliere un dono scendendo nelle profondità… Togliendo di mezzo ciò che ci rassicura, ciò su cui facciamo troppo poggiare le nostre esistenze.
Non credo Gesù temesse i suoi nemici… ma sapeva bene che la grande tentazione è nel fascino del possesso dei beni, nell’avere… e tanto aveva quell’uomo del Vangelo che non gli bastava neppure il suo «avere» terreno… voleva pure «avere» la vita eterna. Per entrare nella vita eterna, per rinascere una seconda volta dal grembo della Madre Chiesa, per seguire Gesù occorre vendere tutto quello che si ha e darlo ai poveri. Il mio amico Francesco di Assisi – e perdonatemi se ancora una volta lo chiamo qui con noi tra i santi che accompagnano questi bambini candidati al battesimo – prese alla lettera queste parole. Vendette le stoffe della bottega paterna tanto che lo stesso Pietro di Bernardone, al ritorno dalla Francia, si complimento col figlio per tanto negoziare. L’incasso? L’incasso lo dette ai poveri. Ciò che si divide, si moltiplica nella nuova economia del Vangelo.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». Non nella rigida osservanza della Legge, ma con la forza dello Spirito, con la lama affilata della Parola dobbiamo dare un taglio a questo delirio di onnipotenza del possedere, dobbiamo dare un taglio a questo fascino dei nostri moderni «vitelli d’oro». La storia del popolo di Israele, storia di prigionia e liberazione è esemplare per noi. È traccia di questo cammino che dobbiamo compiere. È la Pasqua che ce lo chiede: passare dalla schiavitù alla libertà. Dalle tenebre alla luce. Dalla ricchezza accumulata, che ci rende perfino incapaci di sperare la salvezza per tutti e con tutti, alla condivisione generosa.
…E mentre sei prigioniero dei tuoi averi, la libertà intanto ti è già stata donata e tu la sperimenti proprio nel girare le spalle a Gesù per guardare ancora una volta i tuoi beni, che però non ti rendono la gioia. Il volto si fece scuro e se andò rattristato. I volti sono scuri e ce ne andiamo sempre più tristi. Sempre più incapaci di entrare nella vita eterna perché sempre più incapaci di donare e condividere. Anche i comandamenti chiedevano amore del prossimo, non c’è dubbio. Addirittura Gesù non enuncia il primo comandamento, quello concernente l’amore-ascolto di Dio. In un certo senso perché quell’ascolto di Dio accade proprio in quel momento, alla presenza di una Parola che chiama alla vita – «…e vieni! Seguimi!» appunto! Ma il primo comandamento recita: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, con tutte le tue forze (laddove forze nel senso originario indica anche i beni e gli averi che danno forza).
I discepoli sono sbigottiti. Sentono la loro stessa difficoltà e Pietro si fa portavoce di una timida richiesta di conferma o interprete della solita ingenua arroganza di sentirsi migliori di quell’uomo che se n’era appena andato: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Sempre preoccupati di ciò che abbiamo perso, sempre a leccarci le ferite di quei tagli vivi che la Parola di Dio è riuscita – nonostante noi – ad operare in noi. Lo sguardo della Chiesa (e qui Pietro in un certo senso la rappresenta tutta, altrimenti Marco avrebbe messo in scena un altro discepolo meno celebre!) è sempre rivolto a ciò che non ha più, à ciò che ha perso, o lasciato… e inconsciamente si aggrappa a tradizioni e osservanze. E quando lo sguardo è girato indietro, si diventa statue di sale: ricordatevi della moglie di Lot! «Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva». (Lc 17,30-33)
Siamo libero di vestire ogni figlio di Dio di ogni bene, griffandoci la vita delle firme delle mode del momento, ma non dimentichiamoci della scoperta di Giobbe (che nei giorni scorsi ci ha tenuto compagnia durante le celebrazioni dell’Eucarestia settimanale): «Nudo usci dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò» (Giobbe 1,21). Andrea e Leonardo, bambini nudi vengono oggi rivestiti di Cristo. Una veste confezionata fin da principio da Dio stesso. «Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì» (Gen 3,21). Niente di più che una tunica. Una veste battesimale simbolo della nuova dignità. E per l’efficacia della missione che Gesù affiderà ai suoi, non chiederà di prendere altro. Nudi veniamo alla luce, nudi vengono immersi nelle acque del battesimo… nudi e liberi torniamo alla casa del Padre. E le nostre condivisioni con i poveri altro non sono che esercizi di spoliazione… per essere obbedienti a Gesù più che alla Legge.
La promessa è chiara: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi». Quando questi figli dell’uomo che oggi entrano nella vita eterna, conosceranno i nostri nomi e i nostri volti, quando potranno entrare liberamente nelle nostre case e calpestare le nostre terre, quando saranno guidati ed educati da una comunità tutta allora sentiranno vere per loro stessi queste parole. Non solo un papà e una mamma, ma cento volte tanto in madri e padri… non solo uno o due fratelli ma un numero incalcolabile di fratelli, dai tempi di Abramo che ancora esce sotto un cielo stellato per tentare di contare il numero delle stelle perché tanta sarà la sua discendenza.
E perché non abbiamo a sentirci nuovamente padroni di questi doni promessi, senza lusinga alcuna, cento volte tanto… «insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà». Ho trovato un pensiero di Alberto Maggi molto chiaro: «Il mondo corteggia e premia quanti non lo disturbano, ma scatena tutta la sua ferocia verso quanti con la loro esistenza sono una palese denuncia all’ingiustizia del sistema. Soprattutto il potere, specialmente quello religioso, non tollera l’esistenza di persone libere, che sfuggono al dominio e non possono essere controllate. L’adesione a Gesù e al progetto del Padre sull’umanità rende le persone pienamente libere. Per questo Gesù ha svincolato i suoi seguaci dalle norme tipiche della religione, quali osservanze alimentari, con proibizioni e divieti. Il Cristo non lega i suoi seguaci a leggi divine, ma comunica loro lo Spirito, lo stesso amore del Padre, un Dio che non assorbe le energie degli uomini, ma trasmette loro le proprie. Questa libertà è intollerabile per la religione, che per esistere deve dominare le persone, renderle sottomesse e infantili, sempre bisognose di un’autorità superiore che dica loro casa fare e come farlo» 1. E come il Male e la Morte non saranno l’ultima parola, neppure la persecuzione chiuderà le porte della vita eterna che si dischiude davanti a noi come un tempo che verrà. Abbondante!

Sono veramente fortunati e benedetti da Dio gli uomini e le donne che rimangono fedeli al proposito di amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima,con tutta la mente con tutte le forze e amare il suo prossimo come se stessi, che lottano contro il proprio io con i suoi peccati,che ricevono il corpo e li sangue di nostro Signore Gesù Cristo e dimostrano con le opere la sincerità della loro adesione a Dio.
Lo Spirito Santo verrà su di loro e abiterà nel loro cuore. Essi sono veramente figli del Padre Celeste,perchè dimostrano con le loro opere di essere uniti a Lui; e sono sposi,fratelli e madri del nostro signore Gesù:sposi perchè uniti a lui nell’amore,che è dono dello Spirito;fratelli perchè come Egli desidera fanno la volontà del Padre Suo;madri perchè lo portano in sè con amore e lo generano per mezzo di opere sante che ne attirano altre al bene. Padre Santo,custodisci nel tuo nome quelli che mi hai affidato»
San Francesco d’Assisi

1. Alberto Maggi, Di questi tempi, ed. Garzanti


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