Vogliamo vedere Gesù!
V domenica di Quaresima
(Ger 31,31-34 / Sal 50 / Eb 5,7-9 / Gv 12,20-33)
Domanda: cosa vorrebbe vedere chi si avvicina a un discepolo di Gesù? Risposta: Gesù. Ovvio! A Gerusalemme, a ridosso delle grandi feste religiose, in certi momenti dell’anno c’è il mondo intero. Qualcuno è lì in obbedienza alle regole della sua fede: il pellegrinaggio a Gerusalemme è simbolo della fede stessa; salire al monte del Signore è espressione di un cammino, è espressione di un desiderio di vederLo. Qualcuno si sarà forse trovato a Gerusalemme in quei giorni per pura casualità al culmine delle feste pasquali o magari nella città santa vi si era recato mosso dalla curiosità, come turisti che amano visitare i luoghi delle religioni. Tra tutte queste persone salite a Gerusalemme, dice Giovanni, c’erano anche alcuni greci: si avvicinano da stranieri – per terra e per fede – ma di loro si coglie, vivissimo, il desiderio della ricerca.
Alcuni anni dopo, in un’altra capitale – Atene – Paolo vi troverà un monumento intitolato «al Dio ignoto» (Atti 17,23). Davanti a quel monumento dirà apertamente: «Vedo che in tutto siete molto religiosi», di una religione che potremmo dire abbastanza umile da sapere che potrebbe anche esserci un Dio sconosciuto, che tra tante divinità alle quali ci affidiamo come a idoli, ci potrebbe essere Uno che non conosciamo ancora… e allora: facciamo voto pure a quello… che non si sa mai!
La presenza di quei greci alle festa pasquali di Gerusalemme, attesta che l’uomo è sempre in ricerca. Ma cosa cerca l’uomo? La gloria, il potere, il denaro? Almeno il necessario per vivere e non sopravvivere: il pane, l’acqua, il vestito e la casa? Cosa cerca l’uomo? Forse altre persone che possano farsi compagni delle stessa ricerca. E allora occorre indirizzare il cammino, darsi una meta. La scena che apre il Vangelo di questa domenica, suona al lettore, molto simile a quanto si può leggere in Gv 1, 35-42. Gesù sente che qualcuno lo sta seguendo, si volta e chiede: «Che cosa cercate?». «Maestro, dove abiti?» dissero quelli. «Venite e vedrete!».
Inizia un cammino tanto esteriore quanto più interiore. Si va a vedere dove abita un uomo che si riconosce come Maestro, capace di insegnare la via, la strada che porta l’uomo a casa. E anche in quella scena all’inizio del Vangelo c’è il gioco della testimonianza: avvicinarsi a qualcuno per chiedere, dire il proprio desiderio, far intuire perfino che qualcosa – Qualcuno – lo abbiamo intravisto.
Nel vangelo di oggi – domenica che precede la domenica delle Palme, inizio della Settimana Santa – la scena è molto simile: degli uomini si avvicinano ad altri uomini chiedendo di vedere Gesù. E Lui dov’era? Forse che i suoi discepoli lo tenevano un po’ al riparo per proteggerlo già che sentivano crescergli attorno la tensione? Forse che Gesù stesso s’era ritirato in un luogo solitario, in disparte come faceva spesso? Come che sia, la domanda dell’uomo, come per intercessione, arriva a Gesù: Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gli avranno detto «Tutti ti cercano!» (Mc 1,29-39). Ci sono pure dei greci che vorrebbero conoscerti o sentirti parlare.
E così si apre il libro dell’ora di Gesù. Chiuso il capitolo dei segni, è ora che si veda chi è il Figlio dell’uomo. È tempo di rispondere alla domanda dell’uomo che vuole vedere, vuole conoscere. E da quel momento la sua vita divenne risposta a quel desiderio di vedere Gesù. Cosa vede chi cerca Gesù? Videro un uomo che amava presentarsi come Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio. A Filippo dirà precisamente: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,1-12).
Come se avesse letto nel cuore di quei greci il desiderio di incontrare l’uomo di cui tutti parlavano, Gesù prende la palla al balzo e apre gli occhi ai discepoli invitandoli a non confondere la gloria con il successo, l’essere sulla bocca di tutti con l’essere innalzati. E così, com’era solito fare, prende ancora dalla terra un’immagine, un segno che è più di un simbolo, per parlare di cose del cielo: un chicco di grano caduto in terra che deve morire per portare frutto. Tutto è racchiuso in questa legge della terra. O questa cosa la si capisce oppure siamo già in un vicolo cieco. O vi obbediamo o impariamo nulla. La gloria di Gesù non è essere sulla bocca di tutti e ricevere gloria dagli uomini. «…Sia santificato il Tuo Nome», diceva sempre a suo Padre. E oggi lo ripete con parole simili: «Padre, glorifica il tuo nome». Chiedeva a suo Padre di fare in fretta a farsi riconoscere, a presentarsi agli uomini.
Gesù e la folla in quel momento sentirono distintamente: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». Chi ha parlato? Un angelo? Forse… un messaggero di Dio che porta buone notizie. Desiderò sempre unire la terra con il cielo, mantenere aperto un contatto, un dialogo come di un Padre con il Figlio. Desiderò impiantare in mezzo ai regni degli uomini, un Altro regno: il regno di Dio e lo seminò attraverso le sue parole, i suoi insegnamenti ed ora, quel seme caduto dalla mano del seminatore, che già aveva toccato il suolo stava per morire. Si trattava di restare fedeli a quella parola che s’era detta nell’immagine di un chicco morente. Un niente che lascia il segno. La gloria di Dio non è il tripudio e lo sfarzo, non è l’ostentazione e l’apparenza. Non è neppure l’efficienza, né la performance, né la prestanza. La gloria di Dio, ciò che lo rende desiderabile a tal punto da volerlo vedere, avvicinare, incontrare, è quell’umana semplicità di buone relazioni libere da tutti i giochi del potere che inevitabilmente si fanno su questa terra; la gloria di Dio è perfino nascondimento e discrezione. Fu una passione, una dedizione e un patimento unico per Gesù. Lo intuiamo già dalle sue parole che oggi ascoltiamo e non è ancora la notte del Getsemani, la veglia tra l’ultima cena con i suoi, quando si abbassò fino a lavare i piedi prima di essere innalzato da terra nel segno della croce.
«Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì», si ascolta oggi nella lettera agli Ebrei (5,9). Padri e madri hanno, comprensibilmente, questa tendenza di risparmiare fatiche ai loro figli confondendo spesso questo risparmio di fatica come un segno di amore. (Test: chi porta la cartella quando si va a scuola?). Segno d’amore – la croce lo dice – è accompagnare un figlio nel difficile mestiere di mantenersi umano che è imparare obbedienza da tutte le fatiche e i patimenti. Ma obbedire non significa semplicemente fare quello che altri dicono, scegliere l’autorità alla quale sottomettersi? Fare quello che dicono mamma e papà? Sì, ma solo inizialmente. Quella è solo la palestra dell’ascolto. C’è un’obbedienza ancora più profonda, a quella Parola che ti parla dentro e dice: «Io-sono-Io. Io sono qui. E tu: chi sei?»
Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso,
perché con la tua grazia possiamo camminare sempre
in quella carità che spinse il tuo Figlio
a consegnarsi alla morte per la vita del mondo.
(dalla liturgia odierna)
Ketil Bjørnstad & David Darling, Upland, Epigraph
Dal Vangelo secondo Giovanni (12, 20-33)
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
È stata la tua fedeltà, Signore,
a condurti alla morte!
E non il salvarti da morte
ma il farti risorgere
é stato il tuo esaurimento:
che sia così anche di noi, Signore.
Amen.
(David Maria Turoldo)
Raccogliamo tutto quello che abbiamo fatto durante questi giorni di Quaresima in gesti di carità, anzi carità di gesti:presenza con affetto,cura, pazienza, perdono, la Scrittura,la Parola che ascolti e che ti ‘parla dentro’.
L’abbiamo fatto per Gesù, l’abbiamo visto e incontrato in queste azioni,
“Tutto quello che avete fatto ai più piccoli…”
La Gloria di Dio è l’uomo vivente e così abbiamo reso Gloria a Lui.
Il brano di oggi non poteva cascare meglio quest’anno: il primo giorno di primavera!
Dalla finestra oggi le macchie gialle dei narcisi si sono infittite, in punti in cui nemmeno ricordavo di averli “seminati”, e iniziano a farsi vedere scorgo anche i tulipani, i più lenti ad affacciarsi. A loro ci sono voluti mesi per prepararsi a spuntare, a me anni per fare le esperienze che mi hanno portata a capire come “mettere a frutto” le doti ricevute. Anni di prove, esperienze, slanci e anche potature nette. Fino alla scelta di mettermi in discussione ancora, tornando a studiare. Non è stato facile, nemmeno “leggero” come lavoro, ma oggi sono pienamente cosciente che, se non avessi vissuto TUTTI quei passaggi, con ogni probabilità avrei fruttato MOLTO meno. Il seme di Gesù ha dovuto patire oltremodo, molto più intensamente di chiunque, per poter poi dare il via a quel preziosissimo riverbero di fede che continua anche oggi la sua corsa. Ma questa sua prova così dura deve essere di stimolo anche a noi per non spaventarci davanti alle prove, alle messe in discussione cui possiamo essere costretti, alle fatiche della vita perché, se con fede ci affidiamo a lui, chiedendo -questo sí, senz’altro!- di aiutarci a discernere, a capire come indirizzarci al meglio, allora potremo davvero rinnovarci e scoprirci anche più fruttuosi.